Yego, keniano fuori pista

28 Maggio 2015

Ritratto del giavellottista africano, quarto ai Mondiali 2013 e reduce dall'exploit a 86,88 centrato al meeting di Ostrava. Il 4 giugno sarà in azione a Roma per il Golden Gala.

di Giorgio Cimbrico

Stesso cognome e stessa occupazione (polizia) di Alfred, ottocentista stortignaccolo che ebbe la sua occasione e la sfruttò a Osaka 2007. Per tutto il resto Julius Yego è un’altra cosa: perché è kenyano e non corre, lancia il giavellotto (qualche giorno fa a 86,88, per il momento secondo al mondo) e ha addosso chili di troppo. Provate a catturare una sua immagine e una di Asbel Kiprop, che sembra una statua di Giacometti in movimento, e confrontatele: Asbel ha gambe che sembrano matite, Julius un giro vita da omino Michelin. A dire il vero, non è il primo kenyano che dimostra di avere un braccio buono. Nel ’74, ai Giochi del Commonwealth di Christchurch, che si trasformarono in una magnifica saga del mezzofondo, il paese che sulla bandiera ha lo scudo masai e due lance incrociate, portò un tal John Majaka che lanciò a 77,56 e finì terzo. John non aveva idea di come di lanciasse il giavellotto e in questo senso gli diede una forte mano un lanciatore australiano che, durante un allenamento, aveva notato che il giovanotto aveva una gran spalla. Un ritocco, un consiglio e voilà, arrivò una medaglia.

Torniamo a Yego che ha 26 anni, secondo la scheda è 1,75 per 85, è un Nandi, sottogruppo dei Kalenijn, la tribù che corre. Corre anche lui, 100 e corsa campestre, ma, come diceva Michelangelo, capisce che non è l’arte sua. Vede in tv i Giochi di Atene, viene fulminato dal giavellotto e così riesce a rimediarne uno, di proprietà della scuola, e comincia a lanciare con entusiasmo. Solo che l’attrezzo si rompe e qui entra per un attimo in scena il suo insegnante di geografia che, generoso e lungimirante, gliene compra uno. Va avanti arrangiandosi, cercando su internet filmati di Zelezny, Thorkildsen e Pitkamaki, “i miei eroi e i miei modelli”. Il primo segno importante lo lascia agli All Africa Games 2011, a Maputo: vittoria con 78,34. Il successo e i progressi gli fanno guadagnare un posto nella squadra olimpica per Londra: sono in 44, 43 che corrono e uno che lancia. Julius. Finisce dodicesimo nella giornata luminosa di Keshorn Walcott, l’uomo dal braccio d’oro che viene da Trininad e ha lasciato perdere la passione nazionale, il cricket. E’ il primo segno che la geografia del giavellotto sta cambiando, che occorre un atlante più voluminoso.

Nel frattempo, Julius aveva cominciato ad affinarsi passando mesi al centro Iaaf di Kuortane dove Petteri Piironen segue lui e il gigante egiziano Ihab el Fayed, arrivato nei pressi dei 90. In Finlandia entra nello spirito giusto: “E’ bello vederlo volare, librarsi in alto. Ti viene da pregare perché non scenda mai”. E al Luzhniki, il vecchio Lenin, lui lo fa volare, alto e a lungo, sino a 85,40. Il podio è lì, basta salirci. Fregato da Dmitri Tarabin, marito di Maria Abakumova, per poco più di mezzo metro. Non ne fa un dramma e l’anno scorso centra il bis ai Campionati Africani e diventa anche campione del Commonwealth, primo kenyano a vincere il titolo fuori dalla pista.

A Ostrava, in una giornata fredda e umida, trova la gran botta: un esame moviolistico di gusto calciomane suggerisce che, in fondo al tuffo alla Al Cantello, potrebbe esser andato al di là della fatal linea con la punta delle dita. In ogni caso, nessun fuorigioco segnalato e lancio buono a 86,88 per progredire di quasi un metro e lasciarsi alle spalle il meglio: Pitkamaki, Vesely, Walcott. “In Finlandia ho imparato che se fai 80 metri sei un giavellottista, se non li fai sei un’altra cosa”. Julius è riuscito a diventare un giavellottista e a essere un’altra cosa. Se va avanti così, dalla bandiera toglieranno una lancia e metteranno questa versione stilizzata dell’arma da lancio usata dai suoi antenati.



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