Olimpiadi, ''Azzurri con il dovere di sognare''

06 Agosto 2016

La vigilia dei Giochi nelle parole del DT Massimo Magnani, che invita la squadra a credere nelle proprie potenzialità. Seppure in un contesto di straordinaria competitività.

di Marco Sicari

Mancano sei giorni al via delle gare d’atletica dei XXXI Giochi Olimpici, aperti ufficialmente ieri sera al Maracana di Rio de Janeiro da un ultimo tedoforo ben noto all’Italia: Vanderlei Lima, che fu protagonista, con Stefano Baldini, del rocambolesco finale della maratona olimpica di Atene 2004, vinta poi dall’azzurro. Meno di una settimana, dunque, al primo confronto sulla pista dello stadio Engenhao (il nome più diffuso dell’impianto dedicato a Joao Havelange, o semplicemente OLS per la toponomastica olimpica), casa calcistica dei bianconeri del Botafogo. Collocazione indiscutibilmente anomala nel progetto olimpico, che per la prima volta vede la casa della “regina” lontana (nel cluster denominato Maracanà) dal cuore delle gare (spostato molto più a sud-ovest, nel quartiere di Barra).

Il DTO Massimo Magnani, da San Paolo, sede del ritiro della squadra italiana, guarda alla selezione azzurra che affronterà i Giochi. “Il contesto è unico – le parole del tecnico ferrarese – anche più complesso, se possibile, di quello dei Mondiali, per le mille ragioni che rendono inarrivabili le Olimpiadi. La squadra che abbiamo selezionato si caratterizza, a mio modo di vedere, per i tanti nomi nuovi che si affacciano alla ribalta. Non è il team più giovane di sempre perché con i nuovi sono presenti anche diversi “senatori”, ma certo la consistenza tecnica di ragazzi come Ayomide Folorunso, Fausto Desalu, Veronica Inglese, per citarne tre tra i più validi, è innegabile”.

Trentotto atleti, quindici uomini e ventitré donne: con quali obiettivi a Rio?

"Diciamo che sono due, i traguardi di squadra. Il primo, è più di natura concettuale: riuscire a stare in campo con dignità, che vuol dire, per me, valorizzare il proprio lavoro e quello di quanti (società, tecnici, dirigenti, Federazione) hanno collaborato alla convocazione olimpica. Il secondo obiettivo, discende dal primo, ed è molto più concreto: riuscire a piazzare quanti più atleti possibile nelle finali. È un dato che dà il senso della “profondità” della squadra, quello a cui tiene di più chi fa il mio lavoro”.

Ai Giochi però i conti si fanno soprattutto con le medaglie.

“Non lo nego, così come dico che abbiamo delle chances. Ma dobbiamo anche essere realisti, le nostre prospettive di podio sono contenute, e riservate ad un numero ristretto di atleti ed atlete in seno alla squadra. Che possono, anzi, devono coltivare il loro sogno, le loro ambizioni, seppure in un contesto, come già detto, molto complicato. La competitività è altissima: in atletica circa 40-50 paesi finiscono regolarmente sul podio, e questo non va dimenticato mai. I nomi? Sono noti: abbiamo alcuni atleti di valore mondiale, che per palmarès, caratteristiche, carattere, possono ambire al podio. Li invito a crederci".

Giorgi, Palmisano, Rigaudo; poi Daniele Meucci, in una maratona che può rivelarsi una lotteria; Alessia Trost, seppure in una fase complessa della sua carriera, nell’alto. Sono loro le nostre punte?

"Sono sicuramente atleti ed atlete in grado di lottare per la finale, intesa come piazzamento nei primi otto, così come altri. Cito Libania Grenot, Fabrizio Donato, i marciatori, le maratonete, e soprattutto le staffettiste della 4x400. Le medaglie dipendono da tanti fattori, spesso anche da un imprevisto. Ma vorrei che tutti riuscissero a fare la “propria” Olimpiade, avvicinando i rispettivi limiti, o anche superandoli. In qualche caso, la felicità dell’esito non sarebbe che una diretta conseguenza".

Quanto pesa l’assenza di Gianmarco Tamberi?

"Molto, indubbiamente, e non solo per una questione di prospettive di medaglia. Da quel punto di vista, parlano i fatti: campione del mondo indoor e campione europeo in carica, protagonista anche nei meeting. Era un serio candidato al podio. Non si tratta solo di questo, però. Pesa anche il fatto che non sia presente con il suo modo di fare atletica, che a me piace moltissimo, con il suo essere capace di applicarsi ferocemente nel lavoro, e di sdrammatizzare con una battuta. Vivere seriamente l’atletica non vuol dire non ridere mai. Anzi".

Note dolenti: le staffette veloci e i lanci che (Marco Lingua a parte) non sono rappresentati.

"Quello per le staffette è un cruccio forte. Abbiamo investito parecchio sui quartetti veloci, e alla fine sono rimasti fuori sia gli uomini che le donne. Nel caso delle ragazze, certo, abbiamo assistito ad un fatto eccezionale, con un quartetto (quello del Ghana, ndr) che si è migliorato di oltre un secondo, beffando le nostre ragazze. Gli uomini valgono molto più del 38.58 di Amsterdam. Quello che ci manca è probabilmente un’adesione piena al concetto di squadra, all’obiettivo comune, indispensabile nel lavoro delle staffette. Comunque, è un peccato".

Nei lanci la situazione, se possibile, è ancora più dolente. O no?

"In realtà io direi che in questo settore, più che in altri, stiamo vivendo una fase di ricambio, con diversi giovani che stanno maturando, ma che non sono ancora pronti, per età o percorso tecnico, per il grande salto nell’atletica olimpica. Guardo per esempio ai pesisti, oppure, valutando il lavoro del settore giovanile, a ragazze come la giavellottista Visca. Non credo che sia un problema di tecnici, anche se spesso mi ritrovo a leggere programmazioni “da manuale”, ottime sul piano teorico ma non perfettamente ritagliate sugli atleti. Fatto che non tocca solo i lani, a dire il vero".

Guardando al percorso di preparazione, ci sono cose che farebbe diversamente?

"No. È chiaro che tutto è perfettibile, ma direi che il percorso è stato sostanzialmente rispettato.  La mia coscienza è tranquilla: tutto ciò che poteva essere fatto, è stato fatto. Aggiungo però che per crescere come movimento in futuro, e consolidare il nostro lavoro in un vero e proprio modello, dovremo impegnarci ancora sul piano culturale, mettendo in discussione metodi e strumenti. Per poi arrivare magari a confermarli tutti. Ma alla fine di un processo di revisione".  

Il Direttore tecnico organizzativo Massimo Magnani, a Giochi Olimpici conclusi, sarebbe felice se…?

"Se i ragazzi dimostrassero in campo quello che valgono. Perché sono convinto che non sia poco".

 

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