Una storia al giorno

23 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

23 ottobre. E’ il giorno del ’56 in cui a Budapest le proteste anti-sovietiche crescono portando in piazza decine di migliaia di persone. I carri armati dell’Armata Rossa sono in attesa dell’ordine di avanzare sulla capitale. La squadra ungherese è appena partita per Melbourne con la sua pattuglia di formidabili mezzofondisti, i ragazzi di Mihaly Igloi, i collezionisti di dodici record mondiali allineati negli ultimi quindici mesi. Il totale aumenta se si aggiungono anche quelli centrati nella 4x1500 e nella 4x1 miglio.

Gli atleti sono a Vienna, pronti ai lunghi salti verso l’Oceania, ma Sandor Iharos decide che non salirà a bordo: non sceglie l’Occidente, come faranno molti giocatori della Grande Ungheria. Anche lui va incontro a un’incompiuta, ma senza scendere in campo. Torna a Budapest, vive i giorni dell’invasione, della durissima repressione, persevera nella scelta di non chiedere la tessera del partito. Ha perso il suo mentore – Igloi chiederà un visto d’ingresso negli Stati Uniti – e sono ormai alle spalle i mesi frementi del suo raccolto, quando interpretò il ruolo di punta di lancia di un formidabile gruppo.

Applicando la futile scienza degli scenari possibili, Iharos non sfruttò l’occasione di un successo che avrebbe avuto un forte effetto propagandistico: avesse battuto Vladimir Kuts, sarebbe diventato un eroe nazionale e popolare. Sarebbe stato nelle sue possibilità: Jozsef Kovacs, un gregario se affiancato a lu, fu l‘ultimo a cedere alle accelerazioni dell’ucraino che, prima di volare a Melbourne, aveva strappato all’ungherese il record mondiale dei 10000. Fu l’unica medaglia dell’indimenticabile gruppo color amaranto.

Il 23 ottobre è un giorno che ricorre, spietato come una nemesi, nella biografia di Iharos. Un anno prima del gran rifiuto aveva entusiasmato il pubblico del Nepstadion in fondo a quella che si trasformò in parata degli assi magiari: Sandor corse in 13’40”8 dando una forte scossa (sei secondi) al record mondiale di Kuts e firmando di passaggio anche il limite delle 3 miglia. Alle sue spalle, Lazslo Tabori in 13’52”3, Miklos Szabo (conosciuto come II, per distinguerlo dall’omonimo campione degli anni Trenta) in 13’59”2 e Jozsef Kovacs in 14’07”2.

Come Nurmi (e come è capitato ai giorni nostri con Mohamed Farah) Sandor sapeva spaziare tra distanze assai dissimili: fu primatista mondiale dei 1500 con 3’40”8 (che condivise con Tabori), dei 3000 in 7’55”6, delle 2 miglia in 8’33”4 (sbaragliando a Londra una muta di britannici), due volte dei 5000, delle 6 miglia, dei 10000. Provò a ripresentarsi a Roma, ma fu una pallida comparsa.

Ai primi Giochi ospitati dall’Australia andò Istvan Rozsavolgyi che, dopo i record su 1000 e 2000, nell’anno fatale per l’Ungheria aveva portato il mondiale dei 1500 a 3’40”6 nel test preolimpico che si svolse a Tata. Ma un avvicinamento precario per le tensioni che giorno dopo giorno salivano, lo recapitò a Melbourne in condizioni miserande che lo costrinsero ad arrendersi in batteria. La primavera degli ungheresi finì in quell’estate agli antipodi. Il ritorno fu penoso.

Privato come Iharos della sua guida e di un amico e compagno di allenamento (anche Tabori aveva seguito Igloi negli Usa), Istvan non si arrese e quattro anni dopo a Roma fu uno dei protagonisti della finale che si sublimò nella caccia a un fragoroso record del mondo di Herb Elliott. L’ungherese finì terzo, non lontano da Michel Jazy.

Giorgio Cimbrico



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