Sopot, un affare di famiglia

07 Marzo 2014

Le storie intrecciate dell'atletica internazionale, tra sorelle, coniugi, emigranti e...consonanti

Faccende di famiglia all’Ergo Arena e a Sopot, la Rimini del Baltico dove finalmente compare il sole che provvede a inviare qualche pallido raggio su un repertorio di esemplari storie. Evidente che il record di raccolto legato a un nucleo – in questo caso, una coppia avvinta dall’amore - è e rimarrà in eterno agli Zatopek: tra Emil e Dana, quattro medaglie d’oro 62 anni fa a Helsinki, proprio su questo mare un po’ livido. Ma l’attacco del clan delle Dibaba - un gineceo offerto da Bekoji, sperduta località sull’altopiano d’Etiopia - comincia ad essere piuttosto pressante.

In principio erano Ejegayehu e Tirunesh. La prima raccolse un argento olimpico, un po’ di titoli nel cross, piazzamenti vari ed eventuali e spesso diede una mano da gregaria a quella che negli anni si è trasformata nella killer gentile, la piccola-grande donna che può allineare tre titoli olimpici, cinque mondiali e 13 sui prati, in possesso di un finale che farebbe comodo a molti uomini. Ejegayehu, la più anziana, è appena diventata mamma; Tirunesh, quella di mezzo, sta preparando una maratona di Londra che quest’anno merita più che mai l’aggettivo stellare, e così sulla scena ha fatto definitivamente irruzione Genzebe, 23 anni, la regina d’inverno: record mondiali su 1500, 3000, due miglia, con la prospettiva che finalmente qualcuna potrà spazzare gli irreali tempi delle terribili cinesine di Ma Yuren. Al paese tutti si augurano che Dibaba I metta al mondo una bambina per assicurare un seguito alla dinastia.  

Avevamo lasciato Brianne e Ashton felici e contenti sul podio di Mosca: una coppia unita e molto multipla che lasciò la Russia con l’oro del decathlon per Eaton e con l’argento nell’eptathlon per la canadese che da nubile faceva Theisen. Eccoli di ritorno nell’est Europa per un’altra razzia e, almeno per lui, con inizi violenti: 6”66 può far gola a qualche velocista..

Una famiglia italiana, cocktail tra bassa Lombardia (Mantova) e Toscana ha messo al mondo Orazio Cremona, un giovanotto di forme generose e con occhialetti da impiegato comunale. Malgrado le radici, le vacanze estive passate spesso nel mantovano (a Rodigo)  e un trascorso interesse per la maglia azzurra, Orazio ha deciso di gareggiare per il paese in cui è nato, nei pressi di Johannesburg, e cresciuto, il Sudafrica. Un fisico da pilone, ma lui a rugby non ha mai giocato. Anzi, dice che non gli piace proprio. In qualificazione 20.28 non lontano dal record personale, al di là dei 20 metri e mezzo. A questo punto le chances di vederlo lanciare per il paese dei genitori diventano evanescenti.

Nessuna storia di famiglia dentro la pattuglia azzurra: come è noto, Margherita Magnani non è figlia o congiunta, anche alla lontana, di Massimo, il direttore tecnico. Non sono nemmeno paesani: lei è romagnola, lui ferrarese, cioè emiliano.

Il paese delle consonanti e il nome dell’ottocentista Adam Kszczot, che vince la batteria degli 800 raccogliendo un’ondata di applausi, offrono lo spunto per riesumare una vecchia barzelletta che non annoia e che gli inglesi sostengono non sia una barzelletta. Settantacinque anni fa i tedeschi attaccano giusto da queste parti – Danzica è ill simbolo della seconda guerra mondiale come Sarajevo lo è della prima – la Polonia è sconfitta e travolta ma alcuni riescono a riparare in Inghilterra e dar vita ai reparti di Polonia Libera. Alcuni si presentano alla Raf per esser arruolati come piloti. Visita medica: a uno degli aspiranti il medico indica con la bacchetta il tabellone per la prova della vista: K S Y Y S Z T K. “Ehi, ma quelle non sono lettere, è il nome di un mio amico”.

Giorgio Cimbrico

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