Genova la buona notizia

14 Gennaio 2014

All'indomani dell'annuncio della riapertura, viaggio nei ricordi delle imprese e dei personaggi che hanno lasciato il loro segno su pista e pedane dello storico impianto indoor ligure

La buona notizia è piena di vecchi rumori: il tambureggiare sordo che arriva dalla pista, gli annunci spesso rimbombanti e poco chiari dello speaker, gli applausi, gli incitamenti, gli spari dello starter, meno secchi di quelli all’aperto, più ovattati. Tutto potrà essere riascoltato dopo sei anni di grande silenzio. Genova is back, potrebbe scrivere chi si è impantanato in questo stolido anglo-italian d’accatto. Di sicuro Genova è di ritorno, sta per ritrovarsi sotto il suo vecchio tetto, a quarantaquattro anni da un debutto quasi primaverile, il 15 marzo 1970, su quella pista nuda e canadese, di legno chiaro, subito sottoposta a un traforo, a un ricamo ad opera di migliaia di chiodi che andarono a imprimere tondi segni, piccoli buchi. Cose così si vedevano solo nelle foto che arrivavano dall’America ma con Primo Nebiolo di mezzo tutto doveva svecchiarsi e l’atletica doveva andare ad occupare gli spazi vuoti dei mesi d’inverno, sino a quel momento dimensione buona per i faticatori del fango e delle sponde decorate di neve.

Genova nel ripostiglio, a lungo e senza insistere nella metafora (cos’è un magazzino se non un grosso ripostiglio?), dopo anni di luci violente, di serate di gala, di un pubblico che, chi c’era, non ha dimenticato. No, non era la boxe, ma i match di Fiasconaro contro Badenski, di Dionisi contro Papanicolau, di Mennea contro Papagergopoulos garantivano un cartellone da Millrose Games, richiamavano, trascinavano, trasformavano quel grande spazio in un luogo sinfonico. Dopo i Beatles e i Rolling Stones, toccava alle star dell’atletica in un’atmosfera che, a sera inoltrata, poteva tendere all’azzurrino: la crociata antifumo non era ancora partita e chi picchiava sui tasti, e obbligava a tener aperte le pagine, aveva il permesso di schiacciar mozziconi sul cemento, a volte anche per regalarsi un senso di calore: il riscaldamento costava carissimo e troppe ore di accensione portavano le bollette sino ad asticelle proibite anche a Bubka. Sergei, certo, un altro finito sotto la grande tenda, per un’esibizione fuori stagione, un altro dei tanti venuti nel Palasport in riva al mare, sfiorato dalle navi che entrano o escono dal porto.

Una lunga stagione: 22 edizioni dei campionati italiani, spesso aperti a ospiti stranieri, gli Europei del ’92 dopo un lungo inseguimento chiuso felicemente nell’anno colombiano, gli incontri della Nazionale, i meeting. Un vasto materiale in cui immergere le mani e uscirne con fogli gara accuratamente conservati che offrono un Patrick Sjoberg da 2,38 sul far della mezzanotte, un Mauro Zuliani alla ricerca di una collocazione nella all time dei 400, una Sally Gunnell in formato lunghista, un Brian Oldfield, barbuto e ricciuto come Lil Abner eroe dei fumetti, un Sandrone Andrei alle prime bordate oltre i 21. Ricordi che si mischiano, che non rispettano l’ordine cronologico, un caleidoscopio che sei anni fa non ruotò più, fermando quel mucchio di sassetti colorati in un’immobilità triste.

“Dobbiamo riaprirla”, ha sempre detto Alfio Giomi che non l’aveva mai esclusa dai suoi obiettivi. “Dobbiamo riaprirla”, ha detto Mauro Nasciuti, genovese, legato per esperienze e per giovanile apprendistato a quel Palasport, a quella pista, a quei momenti che potevano nascere improvvisi, da un’idea, esser plasmati nell’entusiasmo, e il primo che viene in mente è legato a quel meeting piccolo da cui scaturì l’ultimo grande acuto di Pietro Mennea che in quel febbraio dell’83 divenne il titolare mondiale dei 200 all’aria aperta e al coperto, e tutto questo è stato ricordato, con commozione, nel giorno dell’addio al re ma in questo momento è il caso di accarezzare ancora una volta quei 20”74 e il dopo, pieno e ricco di una gioia genuina che investì chi c’era, chi non c’era, chi, raggiunto, da quella notizia, ne fu lieto. Internet non esisteva ma quell’exploit volò, come fosse stato trasportato da Mercurio, il dio con le ali ai piedi, e divenne la copertina della Domenica Sportiva. Oggi difficilmente capiterebbe. “Dobbiamo riaprirla” è il refrain che ha investito Bruno Michieli, numero 1 della Fidal regionale, che si è gettato nell’avventura, ha trovato disponibilità nel Comune di Genova e nella Fiera (nei ringraziamenti vanno annotati i nomi dell’assessore Pino Boero e di Sara Armella, al vertice dell’ente fieristico) e ora può annunciare, con emozione, che l’anello è montato e poi toccherà al resto e tra qualche giorno torneremo a sentire i rumori della nostra giovinezza. Felicità e gratitudine sono i sentimenti che ronzano. Fra non molto, farà capolino anche l’ambizione.

Giorgio Cimbrico

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Una rappresentativa della squadra italiana sfila durante la cerimonia di apertura degli Europei Indoor del 1992 (archivio FIDAL)



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