Fiasconaro nelle parole del prof. Vittori

26 Giugno 2013

di Carlo Vittori

La debolezza era il tendine d’Achille: Marcello aveva poca mobilità, poca articolazione del piede, la caviglia si piegava poco, ma la sua era una corsa bella, aerea. Fiasconaro era una bestia fatta apposta per la corsa, era un ghepardo, aveva agilità e possanza. Un fisico perfetto, pelle di due millimetri, sette per cento di grasso. E tutto questo è il Fiasconaro fisico, l’oumo che non ha raccolto per quanto valeva. Poi c’è il Fiasconaro morale, umano, generoso, pronto all’affetto, spontaneo, sereno anche nei momenti difficili, sempre padrone di se stesso. Penso abbia preso da suo padre. Juantorena era diverso: aveva l’abito dell’assassino, ce l’aveva con il mondo, voleva abbatterlo. Fiasconaro no: in realtà non aveva bisogno dell’avversario e lo dimostrò proprio la sera del record del mondo.

In quei giorni avevo la responsabilità dei quattrocentisti e così, se posso dire di non essere mai stato il suo allenatore, finii per essergli vicino, per stendere un piano di allenamento, anche per il record del mondo. Avevo conosciuto Stewart Banner durante una mia visita in Sudafrica e con lui rimasi in contatto. Mi disse che Marcello doveva correre poco sulla gomma, su tartan. Che con quei suoi tendini l’allenamento doveva svolgersi su terra, su erba. A Formia, all’interno della nuova pista, avevamo mantenuto anche quella in tennisolite. Marcello si allenava quattro volte la settimana: due miglia sull’erba, sette volte i 300 e l’ultimo intorno ai 33”, con dieci minuti di recupero. O tre volte i 600 attorno agli 1’16”.

Quando ci avvicinammo all’incontro con la Cecoslovacchia, usavo Furio Fusi per tirarlo sui 600 e Claudio Trachelio per i 300. Per la corsa lunga andavamo al parco reale di Monza, per correre sulla terra rossa al XXV Aprile.

La sera del record, all’Arena, ero al centro del campo, con il cronometro in mano. Marcello passò alla campana in 51”2, era già davanti, era la lepre di se stesso. Quando ai 600 passò in 1’16”6 capii che il mondiale era fatto, doveva correre gli ultimi 200 in 27” o giù d lì. Non era un problema per lui.

Poco più di un anno dopo, pieno di problemi fisici, interpretò la finale degli Europei come una morte in scena, un disperato 50”14 prima di rompere e finire settimo. (del terzo di quella gara, Steve Ovett, 19enne, Brera scrisse: “ne sentiremo ancora parlare”). Non si sentì più parlare del secondo, il finlandese Taskinen e anche il vincitore Luciano Susanj,Jugoslavia, oggi Croazia, non ballò molte estati.

Quando la sua avventura era vicina alla conclusione, io gli dissi: scappa dall’Italia, vattene, torna nel tuo mondo. Mi ha dato retta.

Pietro Mennea e Marcello Fiasconaro al termine della staffetta 4x400 agli Europei di Roma 1974 (foto archivio FIDAL)



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