Alto: salti tra record e leggenda

06 Settembre 2014

All'indomani del 2,43 di Barshim a Bruxelles, il ricordo di imprese da record scovate in curiose cronache d'epoca

di Giorgio Cimbrico

Siamo proprio sicuri che Javier Sotomayor sia andato dove nessuno è mai arrivato, che debba interpretare il ruolo di Neil Armstrong del salto in alto? Quasi in fondo a una stagione che può già essere archiviata sotto il segno del formidabile (6 atleti e 17 prestazioni oltre i 2,40, quasi un terzo di quelle raccolte nel corso del tempo, sia indoor che all’aperto), la domanda tenta di farsi largo, di instillare qualche dubbio. Nel 1998 lo storico britannico John Bale annotò nel giornale “Track Stats” che negli anni Venti un Tutsi del Rwanda – tramandato come Kenyamuhungu – superò 2,18 quando il record mondiale era il 2,03 di Harold Osborn, ottenuto durante i Trials Usa di selezione per i Giochi di Parigi.

I Tutsi, popolazione del centro dell’Africa di straordinaria bellezza e di statura media assai elevata, da noi conosciuti come Watussi anche per una vecchia e popolare canzoncina di Edoardo Vianello e in due riprese massacrati dagli Hutu in  spaventosi genocidi, amano gareggiare nel salto in alto in competizioni sospese tra l’agonismo e la ritualità e si servono, al momento dello stacco, di una pietra piatta o di una piccola elevazione costruita con il fango. Usano uno stile che può ricordare il Fosbury, Più tardi, negli anni Trenta – quando la regione era sotto mandato belga – venne segnalato un salto di anonimo di 8 piedi e 3 pollici che, tradotto nel sistema di misurazione a noi più famigliare, equivale a 2,52. Il saltatore Tutsi si servì della piccola elevazione offerta da un formicaio.

Non è la prima volta che 2,52 compare in una storia dell’atletica sospesa tra realtà, mito e stupefazione. A quell’altezza, secondo i fotogrammi girati dal professor Luciano Fracchia nel ’78, Europei al Palasport somparso di Milano, giunse il “cavallo” di Volodja Yashenko non in occasione del record mondiale a 2,35, ma in un tentativo a 2,27. Yashenko era di razza cosacca, non tutsi, ma sapeva volare come quei magnifici pastori. E infatti è volato via presto.

SEGUICI SU: Twitter: @atleticaitalia | Facebook: www.facebook.com/fidal.it



Condividi con
Seguici su: