Una storia al giorno

21 Novembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

21 novembre. Vigilia della cerimonia di apertura dell’Olimpiade di Melbourne. In assenza dell’Augusta Consorte, l’ospite d’onore e facente funzioni è Filippo, Duca di Edinburgo: laggiù due italiani, che all’atletica hanno dato tanto e continuano a farlo, sono arrivati da direzioni opposte e usando direzioni cardinali diverse faranno anche lungo il viaggio a ritroso.

Per precedenza dovuta all’età, iniziamo con chi scelse di puntare verso ovest, con necessarie variazioni a sud e a nord: Roberto L. Quercetani (toh, come un altro Robert Louis che amava l’esotico e il misterioso, Stevenson) aveva già fondato l’Associazione Internazionale degi Statistici e dato alle stampe i primi piccoli e preziosi almanacchi, senza Internet teneva (come avrebbe continuato a tenere) il mondo sotto controllo, scriveva per La Nazione e per La Gazzetta dello Sport, oltre all’inglese stava lustrando anche il tedesco e presto sarebbe stato in grado di leggere lo svedese. Comprò un biglietto “giro del mondo” della Klm e di salto in salto (i jet per passeggeri vivevano ancora l’infanzia e i velivoli a elica avevano autonomie limitate) giunse negli Stati Uniti, si unì ai colleghi e amici americani e dalla California si lanciò nelle ultime tappe su quel Pacifico che non finisce mai, toccando Papeete e Auckland. Tornò a casa via Singapore, India, Atene e, racconta lui, quando in treno ripartì da Termini per Firenze dopo aver acquistato un balocco per il nipote, aveva 500 lire in tasca ed era molto felice.

Vanni Loriga, sardo doc, allora giovane ufficiale dei Bersaglieri, percorse un’interminabile rotta sud est-est. Rotta non è una parola scelta a caso: era riuscito a trovar posto nella missione militare italiana ai Giochi, inviata sull’incrociatore Montecuccoli. Durante i Giochi ne capitarono di tutti i colori - crisi di Suez, invasione sovietica dell’Ungheria – portando a picchi alti la tensione mondiale. “Da che parte torno?” chiese l’ammiraglio al Ministero della Marina. La risposta, a palmi, fu che essendo il comandante, vedesse un po’ lui. E così racconta Vanni (memoria prodigiosa) che passarono per Nuova Zelanda (manovre con la marina All Black), Fiji, Hawaii, Canale di Panama (con ricevimento nel palazzo di un tirannello centroamericano), Gibilterra (con visita alle celle britanniche dove erano finiti gli italiani che avevano provato a forzare il porto della Rocca). Totale, 256 giorni. “E mia moglie a Roma aveva lo sfratto”, lancia ancora oggi lampi dagli occhi.

Quando si parla con loro di quei Giochi lontani, i primi in Oceania, non c’è tempo da dedicare alle gare: contano solo quei viaggi che hanno segnato le loro vite. Per due vecchi e freschissimi amici che vissero una tale avventura non si può che provare la più dolce delle invidie. Realizzarono quel che è il titolo di un bel libro di Evelyn Waugh (bel è inutile, sono tutti belli…): Quando viaggiare era un piacere. Ora è un incubo.

Giorgio Cimbrico

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