Una storia al giorno

28 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

28 ottobre. Un saluto a Giuseppe Beviacqua savonese: fosse ancora su questa terra, taglierebbe oggi il traguardo dei 99 anni. Nato quando la Grande Guerra era già esplosa, non ancora per l’Italia. Ma il 24 maggio non era lontano.

Beviacqua aveva un soprannome che lo riassumeva: Niculin, Nicolino per coloro che preferivano l’italiano al dialetto. Era uno scricciolo ma anche un airone: un breve busto e gambe straordinariamente lunghe e sottili. E baffetti, sottili anche quelli, che, chi ha una certa età, definisce alla Adolphe Menjou, l’attore americano che attraversò il cinema da Valentino a Kubrick. Anche Niculin ha attraversato una lunga epoca, dall’esordio degli anni Trenta al secondo dopoguerra quando era spesso l’uomo da battere nelle corse su strada: non era più un ragazzino, i capelli erano diventati fini e radi, ma aveva pochissimo peso da portar con sé.

Il momento che lo ha consegnato alla storia dell’atletica azzurra è ambientato in un luogo importante: lo stadio parigino di Colombes era stato il teatro delle Olimpiadi del ’24, popolate di eroi e centauri, e appena qualche mese prima aveva ospitato la finale del Mondiale di calcio e la seconda vittoria della squadra di Vittorio Pozzo. Sempre in quell’estate, Parigi aveva salutato il trionfo di Gino Bartali al Tour. Toujours les italiens, si cominciava a mormorare, tra l’ammirato e l’invidioso.

Cominciarono a pensarlo anche gli spettatori degli Europei quando, giro dopo giro dei 10000, quel piccolo, fragile italiano, continuava a stare alle calcagna del lungo Ilmari Salminen. Le credenziali del finlandese erano formidabili: era il campione olimpico, prima lancia di Suomi nella giornata berlinese del tris completato da Askola e Iso-Hollo e, da poco più di un anno, era il primatista mondiale con il 30’05”6 che, dopo tredici anni, aveva detronizzato il limite di Nurmi. Dal canto suo, Niculin poteva rispondere con qualche maglia tricolore e un modesto 11° posto sulla pista dell’Olympiastadion. Eppure Salminen non riusciva a togliersi dai piedi quella piccola ombra che sembrava sfiorare appena la tennisolite.

A Colombes Davide non abbattè Golia. Cedette per otto decimi perché non aveva grande spunto e perché tutte le energie erano state spese in quello spietato marcamento. L’Italia raccolse quell’argento, insieme a quelli di Orazio Mariani nei 100, di Arturo Maffei nel lungo, di Giorgio Oberweger nel disco. L’unico oro fu di Claudia Testoni, ma le donne gareggiavano a Vienna, nuovo capoluogo di provincia del Terzo Reich.

Giorgio Cimbrico



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