Un giorno, un'impresa

14 Giugno 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

14 giugno. Nel 1777 il giovane congresso americano decide che la bandiera della repubblica appena nata e in piena lotta per l’esistenza, sarà a stelle e a strisce. Per il momento, tredici. Quella bandiera è stata di solito salutata con grande emozione, con grande commozione. E nel caleidoscopio di questi momenti si può pizzicare quella lacrimona – una sola, gigantesca - che scivolò sulla gota di Michael Johnson dopo la vittoria con stordente record del mondo – 19”32 – ad Atlanta ’96. La bandiera, negli Usa, è ovunque, un segno di identità, da ammirare con sguardo estatico, da alzare e ammainare nel giardino di casa, da consegnare ben ripiegata alle famiglie di chi ha dato la vita.

E così lo scandalo fu enorme la sera del 16 ottobre 1968 a Mexico City quando Tommie Smith e John Carlos, scalzi, con i pugni guantati di nero, abbassarono gli occhi e non la guardarono. Dopo quasi 45 anni può essere riaperto un dibattito: quale fu il gesto che più terremotò lo spirito del buon americano? Il pugno chiuso, i piedi non calzati come quelli degli schiavi? No, furono quegli occhi piantati verso il basso, quel non riconoscere la bandiera come simbolo di appartenenza.

Fu un gesto assoluto, finito su poster storici quanto quello di Albert Einstein che fa le beffe, del miliziano morente di Robert Capa, dei primi picconatori del Muro, di tanti altri che hanno attraversato – e sono rimasti – nella nostra vita, a impressionare per esempio retina e cervello. Naturalmente Tommie e John pagarono, come capita a tutti i coraggiosi, ma non si pentirono. E chi fu testimone così diretto da diventare protagonista – Peter Norman, clamorosa medaglia d’argento – ne ebbe sempre un ricordo così forte e coinvolgente da segnare una vita intera. Un Golgota moderno, scrisse un giornalista di razza pura e cultura profonda, Alfredo Berra. Ai piedi del podio più famoso della storia dello sport (di uno sport che non dimentica che tutto attorno c’è la vita, c’è la storia), Lord Burghley, marchese di Exeter, confidava che quella cerimonia scomoda si chiudesse in tempi rapidi: la sua capacità di reggersi in piedi era limitata. Il crollo al suolo di quella vecchia quercia aristocratica avrebbe reso quel momento ancora più drammatico, ancora più simbolico.   

Molti anni dopo, quel podio è diventato una statua. Proprio come quel gruppo bonzeo di Washington, con i marines che alzano sul monte Suribashi la bandiera. Quella bandiera.

Giorgio Cimbrico



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