Un giorno, un'impresa

30 Maggio 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

30 maggio. Quarantaquattro anni fa, ad Anversa, su un anello di 21 km che partiva e arrivava allo stadio Beerschot, Derek Clayton diede la seconda spallata, dimostrò che la maratona non era più una terra incognita, che poteva esser corsa tutta d’un fiato. Ne aveva già dato dimostrazione due anni prima, quando a Fukuoka aveva distrutto il mondiale di Moro Shigematsu:- da 2h12’ a 2h09’36” in una botta, con un passaggio ai 10 km sotto i 30’ che agli adepti e agli studiosi fece rizzare i capelli in testa. Ad Anversa, sul filo della perfezione dei 3’ a chilometro frantumò anche se stesso: 2h08’33”6, quasi 4’ sotto il Bikila in formato Tokyo ’64.

Clayton aveva un aspetto che si sovrapponeva perfettamente allo stereotipo dell’australiano: alto, faccia lunga, basette. Sembrava uno dei volti che escono da fotografie belliche: fucilieri aussie in Nuova Guinea o in Nordafrica. In realtà era inglese della Cumbria, cresciuto in Irlanda del Nord e solo più tardi trapiantato nel mondo alla rovescia. Considerato a posteriori, il secondo record può finire nella categoria dei risultati consolatori: a Città del Messico, Derek si era presentato con forti credenziali ma, come il suo connazionale Ron Clarke, era stato tradito dall’altitudine ed era finito settimo con un tempo non lontano dalle due ore e mezza. Avrebbe percorso anche l‘asfalto olimpico bavarese del ’72 per raccogliere un’anonima 13° piazza.

Nella cronologia del record rimane uno dei padroni più longevi: quattordici anni spaccati di regno, sino a quando, ancora a Fukuoka, australiano di nascita ma recapitato dall’altro emisfero, il baffuto Robert de Castella, avrebbe portato il limite a 2h08’18” estendendo così a 17 le stagioni di dominio cronometro dei figli della terra dell’emù e dell’opossum, come dice una vecchia canzoncina. Rispetto a Clayton, mise assieme un’eccellente collezione: il titolo mondilale di Helsinki ’83 e due vittorie ai Giochi del Commonwealth.

La giornata non può considerarsi chiusa senza ricordare che settant’anni fa, allo stadio Olimpico di Amsterdam, in piena occupazione tedesca, Fanny Blankes Koen salì tre gradini sulla scala del record del mondo del salto in alto, una delle sue infinite specialità di parata. Usando la forbice, iniziando da un modestissimo 1,40 e scendendo 12 volte in pedana, la futura dominatrice di Londra ’48 valicò 1,67, 1,69 e, alla terza, 1,71. Il record avrebbe tenuto per otto anni.

Giorgio Cimbrico



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