Un giorno, un'impresa

15 Aprile 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

15 aprile. Nel 1971, a Bethal, provincia di Mpumalanga, nasce Josia Thugwane, il piccolo e stortignaccolo sudafricano che divenne olimpionico della maratona ad Atlanta ’96, in fondo a un serratissimo duello con il coreano lee Bong Jo che lo portò a conquistare la medaglia d’oro in 2h12’36” con il più stretto margine della storia, 3”. Thugwane, che pochi mesi dei Giochi, era stato aggredito e aveva subito ferite da arma da fuoco,  divenne uno dei simboli del nuovo Sudafrica creato dallo spirito di Nelson Mandela, il Gandhi dei nostri giorni.

Il paese arcobaleno, nato dalle ceneri roventi della violenza, dell’intolleranza, aveva bisogno di esempi, di immagini, di volti e i primi furono gli Springboks del rugby che conquistarono la Coppa del Mondo, piegando in finale gli All Blacks nel giorno indimenticabile del Madiba che scese in campo con la maglia numero 6 del capitano, Francois Pienaar imponendo con il suo sorriso che quella maglia, quell’antilope saltante non erano i simboli del Sudafrica boero ma di tutto il paese. Qualche mese dopo fu la volta dei Bafana Bafana  a metter le mani sulla Coppa d’Africa di calcio. Il paese era in marcia. E poi, nell’estate umida della Georgia, toccò al coraggio di Josia che aveva una strana andatura incespicante e che diventando campione mossea quella commozione che aveva acceso quattro anni prima  Elana Meyer nel suo abbraccio a Derartu Tulu, in fondo a 10000 olimpici che avevano offerto la ritrovata unione tra Africa nera e Africa bianca. Thuwane raggiunse il suo picco cronometrco pochi mesi dopo Atlanta vincendo in 2h07’28” la maratona di Fukuoka per sparire gradatamente dalla scena. Come scrisse un antico poeta irlandese, aveva avuto i suoi giorni.

Giorgio Cimbrico



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