Un giorno, un'impresa

05 Marzo 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

5 marzo. E’ l’anno che segna la fine della guerra e nella contea di Kilgore, Texas, vede la luce Randy Matson, il gigante alto 1,99 e pesante 127 chili che sapeva correre le 100 yards in 10”2, che tra il ’65 e il ’71 scese in pedana 79 volte vincendo in 73 occasioni, che dopo l’argento olimpico conquistato 19enne, alle spalle del leggendario codificatore Dallas Long, diventò campione olimpico  a Mexico City e che soprattutto segnò un’epoca – la sua - con misure straordinarie, ancor oggi vincenti. Il suo 21,54 e poi il suo 21,78 proiettarono il peso decenni in avanti. Come altri atleti americani, ebbe una visita medica benevola (problemi alle ginocchia…) ed evitò di volare in Vietnam. Con Alì furono meno teneri.

Il 5 marzo (1944) è anche l’ultimo giorno concesso sulla terra a Rudolf Harbig che si spegne a 30 anni in un ospedale da campo sul fronte orientale. Il sassone aveva cambiato la velocità prolungata e il mezzofondo veloce in un 1939 che lo aveva visto correre in 46”0 e 1’46”6. Inutile sottolineare fossero prestazioni oltre il suo tempo, così come lo era l’autore. Usando l’incerta strada delle ipotesi, inoltrandosi sul sentiero dei “se”, Harbig sarebbe stato il campione olimpico, forse bicampione olimpico, del 1940, con approdi cronometrici sensazionali. Non è stato così. Per onorarlo è sufficiente quel che è scritto sulla sua tomba: “Solo i dimenticati sono morti”. Non è stato dimenticato e così è vivo.

Giorgio Cimbrico



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