Talam, la lepre che vince la maratona

09 Ottobre 2016

Domenica 9 ottobre a Eindhoven, il 22enne keniano partito nel ruolo di pacemaker ha continuato la sua corsa sui 42,195 km andando a vincere in un eccellente 2h06:26

di Giorgio Cimbrico

Qualche anno fa, alla maratona di Fukuoka, Eliud Kiptanui scatenò un ritmo infernale, corse un 5000 in 14:15 tra il 15° e il 20° chilometro e si ritrovò in perfetta solitudine. A quel punto gli sventolarono davanti agli occhi una bandiera rossa: un toro si sarebbe infuriato, una lepre si rassegnò ad abbassare le orecchie. “Lo avevamo pagato per scandire il ritmo e quello doveva fare”, tuonò uno degli organizzatori. I giapponesi, è noto, non sono molto elastici, non prevedono colpi d’ala o, come diceva Ionesco, improvvisi dell’anima.

Domenica a Eindhoven, Olanda (che da quattro secoli non è per caso il paese della tolleranza) è andata esattamente al contrario. Festus Talam, ovviamente keniano, 22 anni tra pochi giorni, faceva parte del gruppetto di lepri che doveva portare l’etiope Derisa Roba a un tempo formidabile, 2h04 secondo le orgogliose dichiarazioni rese alla vigilia dal connazionale di Gebrselassie e di Bekele. “Di lui sapevamo poco”, racconta Edgar de Veer, direttore della classica che si corre da 33 edizioni. Quel “poco” significava un secondo posto alla mezza maratona di Verbania dell’anno scorso e un tempo appena sotto i 62 minuti che in Kenya significa assoluta normalità, una per guadagnarsi la vita nella galassia delle corse su strada. Quando la gara ha preso la definitiva fisionomia, dopo il 25° km, Roba si è ritirato e Talam è rimasto al comando con due altri keniani, Stephen Chebogut, che a Eindhoven aveva vinto l’anno scorso, e Marius Kepserem, al successo a Rotterdam quest’anno . Kenyani orange. Negli ultimi 7 km e spiccioli il giovane Festus se n’è andato d’autorità, ha affibbiato un minuto e mezzo abbondante a Kepserem (secondo in 2h08:00) e ha chiuso in 2h06:26, tempo impressionante per un debuttante, a occhio tra i primi della storia, il 14° nella lista mondiale del 2016. “Credo abbia un futuro brillante”, ha commentato de Veer che aveva “acquistato” una lepre e si è ritrovato un veltro.

Quanto è accaduto a Eindhoven, apre un dibattito sulla liceità del nome “lepre” attribuito a chi deve tirare la corsa. Come capita nel mondo animale, la lepre fugge più veloce che può per sfuggire ai cacciatori o ad altri animali che possono mettere in pericolo la sua vita, ad esempio l’implacabile ghiottone. Festus the Fast, il veloce, non ha fatto che comportarsi come gli suggerivano il suo istinto e la sua condizione: se era il più forte, perché doveva correre per gli altri?

Uno dei precedenti più illustri e recenti, relativamente a un pacemaker primo al traguardo, risale alla mezza maratona di Olumouc 2014, quando il 32enne Geoffrey Ronoh, alla seconda gara "pro" della carriera, tenne testa fino in fondo per precedere i due mostri delle maratone, Wilson Kipsang e Denis Kimetto. In pista, un episodio del genere ha poche opportunità di capitare. E così è piacevole – e commovente – ricordare chi faceva la lepre di se stesso, come quel buonanima di Ron Clarke, chi seppe proporre un’avventura solitaria che nessuno ha dimenticato (Francesco Panetta, trent’anni fa, agli Europei di Stoccarda, che, rimontato, non crollò e seppe rimediare un miracoloso secondo posto ) e chi di lepri non ha bisogno quando deve scrivere pagine che è bello rileggere e ripassare con la memoria: se Johan Sebastian Bach scrisse l’arte della fuga, David Rudisha oggi scrive l’arte del ritmo.

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