McLeod e le barriere infrante

10 Maggio 2016

Il 22enne giamaicano è diventato il primo uomo nella storia dell'atletica a correre i 110hs sotto i 13 secondi (12.97) e i 100 metri sotto i 10 (9.99)

di Giorgio Cimbrico

Il cognome è impegnativo, McLeod, come Highlander, l’Ultimo Immortale. Molti dei padroni delle piantagioni dei Caraibi erano scozzesi e imponevano il nome di famiglia a quelli che un tempo erano schiavi e, dopo il 1833, … dipendenti. Anche il nome di battesimo ha qualcosa di eroico: Omar riporta a Omar Khayyam, poeta, scienziato e astronomo di mille anni fa. E le stelle studiate dall’intellettuale persiano sorridono a Omar il giamaicano che a Fayettesville ha festeggiato il 22° compleanno con un’impresa da guinness: primo ostacolista della storia ad affiancare a un meno 13” un meno 10” sui 100, giusto per un centesimo, in quello che è stato il più veloce esordio della storia, anche meglio di Bolt.

Segni particolari: una collanina verde e gialla, i colori del paese, stretta tra i denti quando lo starter sta per dare via libera. “E’ un ricordo di mia zia Phiona, la donna che più di ogni altro componente della mia famiglia, ha influenzato le mie scelte e ha dato una direzione alla mia vita. E’ stata lei a convincermi a tener duro e a prendere il diploma al Kingston College e ad accettare la borsa di studio dell’università di Arkansas. E’ morta due anni fa, non c’è un momento in cui non la ricordi e quella collana serve a trasmettermi la concentrazione assoluta, la ricerca del ritmo tra un ostacolo e l’altro”. Che fosse un predestinato – e anche un proteiforme – si era capito sin dai suoi inizi: ai Mondiali giovanili di Lilla 2011, finalista sia nei 110hs e che nei 400hs, quarto e ottavo. Anche in questa distanza è stato capace di scendere sotto un… muretto: ha 49”98.

E così, scegliendo gli Usa, Omar è andato a ripercorrere il cammino di tante e tanti suoi connazionali che hanno mietuto titoli Ncaa, una normalità incrinata in queste ultime stagioni di successi globali e di record stordenti, centrati da giamaicani che hanno preferito non decollare dall’isola. Cosa sarebbe successo se Usain Bolt fosse finito, come una giovane Merlene Ottey, nel freddo del Nebraska?

Qualche giorno fa, alle Drake Relays di Des Moines, Iowa, McLeod si è impadronito del vertice stagionale correndo in 13”08, affibbiando distacchi dai due decimi in su a un campo di avversari di livello assoluto: David Oliver, campione mondale 2013, Hansle Parchment (secondo l’anno scorso a Pechino, anche lui giamaicano e, parole di Omar, “il mio miglior amico”) e Aries Merritt, primatista del mondo e campione olimpico ancora in carica e in piena ricostruzione dopo il delicato intervento per combattere la leucemia. Per il momento, un’annata perfetta, iniziata con il titolo mondiale sui 60hs con un personale portato a 7”41, proseguita con l’abbattimento della barriera dei 10” e con il successo secco e netto nel primo vertice di stagione, a cui ha fatto seguire a Doha un 13”05 con incespico finale che l’ha portato vicino al capottamento. Senza quella perdita di equilibrio, ritrovato per miracolo, sarebbe arrivata la seconda discesa sotto i 13”.

Dopo il 12”97 dell’anno corso, ai campionati giamaicani, e appena prima dei Mondiali di Pechino (dove è finito sesto), Omar è passato professionista con la Nike e all’archivio di successi degli Arkansas Razorbacks ha lasciato tre titoli individuali Ncaa, due indoor e uno all’aperto, l’anno scorso a Eugene, con 13”08 in batteria e 13”01 in finale, entrambi ventosi. “Ma non ho chiuso con gli studi: voglio laurearmi in economia. Non si sa mai cosa possa riservare la vita”. Ha un hobby che finisce per risultare utile per quello che è diventato il suo lavoro: “La pallavolo e soprattutto il beach volley: è divertente e giocare sulla sabbia rende più forti le mie gambe”. A Copacabana ne troverà una quantità sconfinata ma in quei momenti avrà altro per la testa.

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