Marcia, il gesto azzurro



Marcia, parola magica, la miniera d’oro dell’atletica italiana alle Olimpiadi: tre successi Ugo Frigerio dal 1920 al 1924; Pino Dordoni nel 1952;  Abdon Pamich nel 1964; Maurizio Damilano nel 1980; Ivano Brugnetti nel 2004; Alex Schwazer nel 2008. E poi miniera in cui gli azzurri hanno raccolto altri metalli nobili come l’argento e il bronzo, miniera inesauribile in cui hanno fatto bottino ai Mondiali e agli Europei, ben accompagnati dalle donne finalmente quando anch’esse si sono affacciate alla specialità. Si devono riempire fitte pagine, per citare tutte le imprese tinte d’azzurro. Quando fu detto che il nostro è un Paese di santi, poeti, navigatori ci fu una piccola amnesia, bisognava aggiungere la parola camminatori. Dai tempi di San Francesco e prima ancora il fascino della fatica espressa con un fiero cammino era nel Dna di un popolo che oggi dicono invecchiato e impigrito, ma nelle gare di marcia continua a esprimere fieri/fiere combattenti. Si ritiene che il merito sia dei maestri, di una scuola d’eccellenza. Certo, la scuola c’è stata e c’è ancora, sempre d’avanguardia, perchè senza una tecnica raffinata che faccia muovere le gambe e appoggiare i piedi con sincronismo perfetto non si va da nessuna parte. Ma il seme del contagio è nell’aria, colpisce qua e là. Il mistero è affascinante e resta senza una precisa risposta.

Senza andare troppo indietro nel tempo, guardiamo la carta d’identità di Dordoni che dice Piacenza, ricordando un atleta inarrivabile nello stile; e Pamich, il suo successore, nasce a Fiume, Istria, poi trapiantato a Genova per via delle terribili vicende patite da quel popolo; e Damilano mosse i suoi primi passi nella generosa campagna cuneese; e Brugnetti è un cittadino, Milano; e Schwazer bolzanino di Vipiteno. Per non dire della donna che ci sta più nel cuore, la combattente tascabile Annarita Sidoti, centocinquanta centimetri che la facevano sembrare una gigantessa quando gareggiava, una gigantessa con motorino incorporato perchè per ovviare alla bassa statura doveva dare alle sue gambe impulsi incredibili. Ebbene, la Sidoti è una messinese di Gioiosa Marea, all’altro capo dell’Italia. Deve la sua storia, che ebbe la glorificazione nel titolo mondiale di Atene 1997 sui 10 km (poi la specialità, per le donne, passò ai 20) all’intuizione di una sua insegnante di edicazione fisica, Carmela Aiello. Ma questa è un’altra faccenda, tutti i campioni hanno avuto un padrino, una madrina, un angelo custode, un tutore che li ha guidati, ovvio. Citiamo i più vicini a noi sul piano temporale, Antonio La Torre e Sandro Damilano, ma dovremmo aprire qui un altro lungo capitolo. Finalmente anche l’etichetta appiccicata in passato con faciloneria alla specialità, considerata minore, è andata appannandosi, archiviata. E’ vero, la delicatezza del movimento a volte mette in difficoltà i giudici nelle valutazioni corrette, ma non succede la stessa cosa nei tuffi o nella ginnastica, tanto per dire? Lo sport è anche interpretazione sofisticata del gesto. Un gesto che nella storia, a partire dalla prima medaglia, il bronzo di Fernando Altimani ai Giochi di Stoccolma 1912 (sarà il centenario, fra un anno!), è sempre stato esaltato dagli azzurri.

Gianni Romeo

Nella foto, Ugo Frigeiro, il primo medagliato olimpico della storia della marcia italiana (archivio FIDAL)




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