Irena Szewinska, magnifica amica dell'atletica

30 Giugno 2018

A 72 anni è scomparsa la velocista polacca che ha vinto due ori olimpici con record mondiale (200 metri nel ’68 e 400 nel ’76), l’unica a detenere i primati di 100, 200 e 400

di Giorgio Cimbrico

Dopo una lunga battaglia contro il cancro, Irena Kirszenstein-Szewinska si è arresa. Aveva 72 anni e rappresentava tutto quel che, in morte, ha detto Sebastian Coe: per la Polonia un’eroina, per l’atletica una magnifica amica.

Irena portava addosso e nello sguardo i segni di storie che il Secolo Breve ha provato a spazzare, quelle di una Polonia ebraica, descritte da Isaac Singer in uno dei libri che devono esser letti: “La Famiglia Moskat”. Con i suoi occhi orientali, i capelli sempre ordinati, anche prima di prendere il via, sembrava provenire da uno di quei salotti scomparsi e distrutti, da una di quelle strade di una Varsavia martellata dalla Luftwaffe, soffocata dalle barbarie che domarono le insurrezioni. Di quella Polonia che non esiste più devono averle parlato i genitori (mamma ucraina, padre polacco) che si erano salvati dall’Olocausto rifugiandosi in Unione Sovietica: il suo luogo e la sua data di nascita - una ancora prostrata Leningrado, nel 1946 - sono altri elementi, forniscono altre rivelazioni.

In un giorno molto triste, in un anno di Europei ormai sempre meno distanti, viene naturale ricordarla sul podio del vecchio continente: ci andò dieci volte, cinque da campionessa, tra il ’66 e il ’78. Dodici anni di saga anche alle Olimpiadi, dal ’64 al ’76, con sette medaglie, tre d’oro. Un fenomeno di longevità a livelli non alti, celestiali. Campi d’applicazione, i più svariati: 100, 200, 400, lungo, pentathlon, 4x100. E partendo dalla fine, come spesso capita nelle buone storie, alla prima Coppa del Mondo, Dusseldorf ’77, Irena lasciò alle spalle le giovani leonesse Barbel Wockel nei 200 e Marita Koch nei 400. Aveva trentun anni - le sue avversarie nove e undici di meno - e dava l’idea di essere un pezzo di passato e un’assicurazione sull’eternità.

La lunga signorina Kirszenstein era apparsa sulla scena come lunghista e sprinter, al fianco di una bionda con cromosomi sballati: Ewa Klobukowska. Seconda a Tokyo ’64, dietro Mary Rand da record del mondo sull’ultima pedana in terra battuta della storia olimpica prima di assaggiare il primo oro con la staffetta polacca; seconda, a meno di una spanna da Ewa l’anno dopo, a Praga, per un doppio record mondiale dei 100, 11.1 che, dopo il bando, sarebbe rimasto sua proprietà.

A Città del Messico, Wyomia Tyus e Barbara Ferrell l’avrebbero preceduta sul traguardo, tenendo duro di fronte alla sua sublime fase lanciata. Il verbale di gara dice 11.08, 11.15, 11.15. Irena si rifece nei 200 infilzando le australiane Raelene Boyle e Jennifer Lamy, con un record del mondo portato a 22.58.

VIDEO | GLI ORI OLIMPICI CON RECORD MONDIALE DI IRENA SZEWINSKA

Con Irena di mezzo c’è il rischio di scrivere un volume corposo come quello meraviglioso di Singer. Un capitolo è dedicato al ’74 quando va a Potsdam, una delle tane delle terribili “panzerine” in canottiera blu, martello e compasso, e le mette tutte in fila, da Renate Stecher in giù, correndo in 22.0, record del mondo andato a libro anche come 22.21, primo limite della storia con cronometraggio elettrico. Era in un periodo di condizione strepitosa e nove giorni dopo, a Varsavia, firmò la prima irruzione sotto i 50 secondi: 49.9 manuale.

Due anni dopo, ancora in Polonia, a Bydgoszcz, tolse per due centesimi - 49.75 - il record del mondo, fresco di conio, alla bambina prodigio della Ddr, Christina Brehmer. Ma non era che all’inizio dell’opera di demolizione del giovanissimo talento perché poco più di un mese dopo, ai Giochi di Montreal, alla tedesca democratica affibbiò un distacco abissale, da cronoprologo: 1.22. In quell’occasione il record del mondo passò a un moderno, o è meglio dire contemporaneo, 49.29. Una rilettura del fotofinish, effettuata con rigore dall’Associazione degli Statistici, le ha assegnato un centesimo in meno.

Un simbolo, un monumento, la donna che visse molte volte, unica nella storia ad aver stretto in pugno i record del mondo di 100, 200 e 400. Fanny Blankers Koen è stata la mamma volante di Londra 1948, Irena ha attraversato la storia. Per lei non resta che intonare un commosso kaddish.

SEGUICI SU: Instagram @atleticaitaliana | Twitter @atleticaitalia | Facebook www.facebook.com/fidal.it



Condividi con
Seguici su: