Il 2013 dei ricordi

27 Dicembre 2013

L'anno che sta per chiudersi ha visto l'improvvisa scomparsa di Pietro Mennea, i compleanni speciali di Abdon Pamich e Sara Simeoni, l'ultimo saluto a Ottavio Missoni

di Giorgio Cimbrico

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Memorie di Pietro, imperatore della corsa, costruttore di una reggia di vittorie, risultati, record, opinioni, coerenze che tiene il passo con il palazzo che Adriano volle a Tivoli in nome della bellezza, della filosofia, del pensiero, del rimpianto per un amore perduto. Nel primo soffio della maledetta primavera, la morte di Mennea, la perdita di chi aveva scandito con la sua corsa i passi della nostra vita: Monaco ’72, Roma ’74, la delusione di Montreal ’76, Praga ’78, il record di Mexico City destinato a tener duro per quasi 17 anni, la rimonta di Mosca che è un chanson de geste in venti secondi, l’estate della sua liberazione, il ritiro, il rientro, l’ultimo hurrah di Helsinki, l’altro addio, l’altra reintrèe, la quinta Olimpiade. Pietro era febbrile, come Socrate aveva il demone dentro, come il protagonista del romanzo d Radiguet aveva il diavolo in corpo, la voglia di stupirsi, di non arrendersi, di non fermarsi, in pista, sui libri. Dentro, il desiderio di un riscatto eterno, una disfida che partiva da Barletta e che finì per essere rappresentata nei teatri di tutto il mondo.

Pietro era nero dentro, lo diceva lui con orgoglio, come la band dublinese di quel bel film, i Commitments, perché in lui c’era l’impegno, la forza, il rigore, la convinzione di battere sentieri proibiti: lo comprese a fondo Manuela, la donna che non lo conosceva come campione, che lo conobbe come uomo e compagno. E chi ha deciso di non andare oltre le regole, di attenersi all’asetticità dei parametri e non lo ha ammesso nella Casa della Gloria della Iaaf, deve solo essere compatito. Di Pietro e di questa umanità che è l’atletica non ha capito nulla.

E così l’anno sta per finire e quel che rimane e scivola tra le dita è quella morte e, cinquanta giorni dopo, quella di Ottavio Missoni, il vegliardo allegro che solo il peggiore dei dolori possa capitare a un uomo aveva rattrappito come un albero senza più una linfa d’acqua. Se Mennea viveva l’agonismo come un dramma, per Ottavio, bello come un Adone, la pista era un sentiero agevole, una passerella, l’occasione per far cadere in amore la giovane Rosita che a Londra si trovò di fronte questo fascinoso dalmata. I colpi di fulmine esistono, non sono solo messaggi contenuti nei Baci Perugina. Chi lo vide molto giovane e apollineo, Mario Fossati, coetaneo di Ottavio, se n’è andato qualche mese dopo e nella sua vita di magnifico suiveur trovò posto anche quel pomeriggio all’Arena, quando Rudolf Harbig, nato cento anni fa, spostò verso il futuro gli 800.

Saldo, magro, essenziale, deciso come è sempre stato, è Abdon Pamich che il 3 ottobre è arrivato al traguardo degli 80 anni e continua a pedalare, a marciare, lamentandosi del traffico d Roma, rimpiangendo quello meno intenso della Genova anni Sessanta, riandando a un’antica Praga-Podebrady del ’56 quando capì che per lui c’era posto nell’aristocrazia, tornando alle migliaia di passi in quella Tokyo da pioggia sporca, ai prosaici dolori al basso ventre, alla liberazione simile a una trasfigurazione, all’arrivo rabbioso, con quel filo non tagliato ma disintegrato.

I compleanni tondi vanno celebrati. Dieci anni fa passammo un lungo e piacevole pomeriggio a tavola con Sara Simeoni per il suo mezzo secolo, rispettando tempi da antichi matrimoni campagnoli, gastronomicamente campali. Questa volta, per il 60°, un abbraccio telefonico. Non era da molto che quel numero era stato composto, non per motivi lieti: l’età di Sara e di Pietro aveva appena perduto uno dei protagonisti.

L’atletica, ci è capitato di pensarlo spesso e qualche volta di scriverlo, è una commedia umana in cui le glorie si accompagnano alle cadute, le meraviglie alle vergogne, per formare una vicenda che un antico e illustre studioso definì una storia a “n” dimensioni. Viene in mente ricordando il 25° anniversario dei Giochi di Seul, della sporca gara sui 100, della caduta luciferina di Ben Johnson, agnellone che finì - giustamente – sull’ara del sacrificio, evitando che anche altri e altre facessero franare il ricco edificio olimpico, come rovinò la casa Usher del magnifico racconto di Edgar Allan Poe.



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