Gigliotti: "A Udine puntiamo sulla squadra"



Forse lui stesso non ricorda più da quanto tempo sia in groppa alla tigre della maratona italiana. Anni, lustri, ormai decenni (nel 2008 ricorrerà il ventennale della vittoria del suo primo campione olimpico, Gelindo Bordin, oro a Seul 1988). Quella di Luciano (in arte Lucio) Gigliotti è la voce dell’esperienza, del guerriero che tante battaglie ha vissuto e – quasi – altrettante ha vinto. Il "Vate" della corsa di resistenza tricolore. Uomo che pur non amando i pronostici, tirato per i capelli (nessuna ironia, per piacere) si presta al gioco di fare le carte alla squadra azzurra che domenica, a Udine, affronterà l’impegno con il Mondiale di mezza maratona. Allora, caro Maestro, come siamo messi? Beh, ad essere sinceri non è che le condizioni siano tali da indurre al lancio di proclami: lì davanti sarà un’altra gara, meglio non farsi illusioni. Ma abbiamo comunque allestito una squadra in grado di fare una figura dignitosa, di battersi sul livello delle migliori europee. Meglio le donne o gli uomini? Direi forse un pizzico più competitive le donne, ovviamente sempre parlando in termini di squadra; la corsa maschile, con il gruppo di keniani iscritti, appare al limite del proibitivo. Tra le nostre ragazze, più di una sembra in grado di correre tra 1h10 e 1h11, ovviamente a patto che le condizioni climatiche non siano avverse, né in un senso (pioggia) né nell’altro (caldo-umido, vedi quello che è successo domenica scorsa a Chicago). La Incerti sembra la più accreditata. In effetti è quella che meglio ha fatto in questa stagione, con il diciassettesimo posto nella maratona di Osaka. E’ un po’ in debito di energie, ma ha risposto con entusiasmo alla convocazione, e questo le fa onore. Io direi che possono far bene anche Rungger, Sicari, Maraoui, e poi sono curioso di vedere la Pinna, che è un po’ la novità del gruppo. In campo maschile la formazione azzurra appare molto omogenea. O no? Diciamo che tutti e cinque sono potenzialmente in grado di correre tra 62 e 63 minuti, sempre parlando di una prova in condizioni ambientali favorevoli. L’obiettivo non può che essere quello di piazzarsi nella classifica a squadre, perché, come detto, in testa suoneranno un’altra musica. Il Kenya mi sembra complessivamente di un altro livello, ma per la gara individuale sono diversi quelli in grado di lottare per la vittoria. Vediamo cosa farà questo Wanjiru, che tra l’altro dovrebbe correre anche a New York. Ha citato New York. Impossibile non parlare allora di Stefano Baldini, il suo secondo campione olimpico di maratona. Come sta? E’ in buone condizioni. A mio parere, a New York dovrà interpretare una gara d’attesa, cercando di chiudere intorno alle 2 ore e 10, tempo che gli permetterebbe di rilanciarsi in vista del 2008, l’anno in cui si presenterà all’Olimpiade da campione in carica. Ma proprio non era possibile farlo correre anche a Udine? Ne abbiamo parlato a lungo: io ero dell’opinione che Stefano potesse esserci per dare un contributo alla squadra, valendo certamente un tempo inferiore ai 62 minuti. Ma bisogna capire lo spirito del campione, dell’uomo che porta sulle spalle il titolo olimpico, il blasone di una grandissima carriera: uno come lui non può accettare in partenza di prendere – come potenzialmente sarebbe potuto accadere – tre minuti dai primi. E alla fine è giusto che a decidere sia soprattutto l’atleta, e che le sue decisioni siano rispettate. Cambiamo discorso, allora. Il momento di flessione della maratona italiana, è o no una crisi? No, io non credo che si tratti di una crisi. Siamo piuttosto incamminati verso la fine di un ciclo. E non sono io a dirlo, lo dicono i dati anagrafici dei nostri migliori atleti. Il leader di questo gruppo va verso i 37 anni, e chi lo segue ha abbondantemente superato i trenta. Piuttosto, personalmente sono più preoccupato dal “dopo”. Ovvero? C’è una specie di buco, guardando il nostro movimento, nella fascia tra i venti e i trenta anni d’età: soffriamo la mancanza di specialisti della corsa di resistenza lungo tutta questo decennio, soprattutto sul versante della strada. I giovani non vanno più volentieri verso l’endurance, dobbiamo chiederci perché, e che cosa fare. Ma il panorama è davvero così depresso? Rispondo con dati concreti, partendo dalla pista. Il miglior italiano del 2006 nei 10000 metri è stato Daniele Meucci, un buon atleta che però, nel corso di quest’anno, pur facendo cose discrete, non si è migliorato da un punto di vista cronometrico. Sono segnali che vanno interpretati. In che senso? Io dico, e stavolta in senso generale: è giusto continuare a lavorare in pista, far crescere la “potenza” degli atleti, dote che può essere utile anche in seguito, qualunque sia lo sviluppo del percorso agonistico. Ma poi, se si sceglie di passare alla strada, non bisogna attendere troppo prima di farlo. Chi ha scelto la maratona a fine carriera, o molto in là con gli anni, ha trovato difficoltà ad affermarsi, pur in presenza di doti indiscutibili. Un nome su tutti: Francesco Panetta, campione eccezionale in pista, anche nei 10000 metri, ma mai capace di sfondare in maratona. E tanti, in anni recenti, hanno fatto grandi cose sulle lunghe distanze anche da giovanissimi. Altri nomi di atleti potenzialmente in grado di esprimersi su strada? Andrea Lalli, per esempio. O Silvia Weissteiner. Nel caso di quest’ultima, benissimo che continui in pista, dove sta raccogliendo ottimi risultati. Ma se ha in animo di correre la maratona, dopo Pechino è bene che scelga definitivamente. Marco Sicari Nella foto, Lucio Gigliotti (Giancarlo Colombo per Omega/FIDAL)

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