Fiona May ad Almeria: "E' vero, smetto"



Si può ancora esordire, quando una carriera volge al tramonto? La risposta è sì, se si considera quanto sta per fare Fiona May. La tre volte campionessa del mondo di salto in lungo (due all’aperto, una indoor) farà la sua prima apparizione ai Giochi del Mediterraneo giovedì sera, nello stadio della città spagnola di Almeria, estremo sud della penisola iberica. Mai prima d’ora, infatti, nel corso di quelli che lei stessa definisce i suoi “23 anni di atletica”, Fiona aveva indossato l’azzurro per questa manifestazione. La domanda è quasi inevitabile: ci puo essere ancora emozione, per una che di atletica ne ha vista così tanta? “Ma certo. L’emozione è sempre quella della prima volta. E non sto scherzando. In gara le cose sono sempre uguali: c’è la pedana, le avversarie, la voglia di arrivare più lontano delle altre. Ogni volta è come la prima volta”. E questi Giochi del Mediterraneo, cosa significano per Fiona May? “Sono un’occasione per saltare, in una manifestazione di livello internazionale. Esattamente quello che cercavo. Ho scelto di venire qui per questo. Voglio vincere una medaglia, come in ogni altra occasione della mia carriera. Non esistono vie di mezzo, almeno per me; l’atletica si fa solo in una maniera, dando il massimo. E poi lo sanno tutti che non mi piace perdere”. Sì, ma da più parti si dice anche che lei sta per chiudere la sua carriera. E’ vero? “Sì, mi fermerò al termine di questa stagione, anche se sarà dura. In questi ultimi 10 giorni, mi hanno chiamato in tantissimi. Tifosi, amici, altri atleti, tutti per dirmi la stessa cosa: non mollare, Fiona. Continua. Me lo ha detto Linford Christie, me lo ha ripetuto Colin Jackson. Ma io so che invece il momento sta arrivando. Non è un pensiero fisso, o perlomeno non è una cosa che avverto in gara. Ma in allenamento, sì. Jonathan Edwards, quando si è trovato nella stessa situazione ha detto: Dio ti da, e poi ti toglie. Mi ritrovo, in questo pensiero”. E i Campionati del Mondo di Helsinki? "Vediamo. Se riuscirò a centrare una misura degna di questo nome, ci sarò anche io". Ci sono rimpianti, nel momento in cui ci si avvia a scrivere le ultime pagine di una carriera così sfolgorante? “No, solo piccole cose. Credo di aver fatto sempre la scelta giusta. Sposarmi, venire in Italia, gareggiare in azzurro, diventare mamma in quel preciso momento. Mi sembra che tutto sia stato fatto davvero per bene. Se proprio devo cercare un motivo di insoddisfazione, rientro nell’ambito più tecnico e dico: è stato un peccato aver lasciato subito il triplo, avrei probabilmente fatto molto meglio di quanto non sia riuscita a fare. E poi, la misura del mio personale nel lungo: con 7,20, invece di 7,11, sarei stata più felice”. E la Gran Bretagna? “Se fossi rimasta, probabilmente non avrei ottenuto gli stessi risultati che ho conquistato da italiana. Oggi sarebbe diverso, ma la federazione britannica di allora, non ha mosso un dito per farmi rimanere. In Italia ho trovato condizioni ideali, sotto ogni punto di vista. Non posso che ringraziare, per questo, anche se credo di meritare io stessa un piccolo ringraziamento...diciamo che, alla fine, è stato un rapporto paritario, ho avuto tanto quanto ho dato”. Quali i momenti da incorniciare? “Tanti. Il più bello, l’oro mondiale di Goteborg ’95, la medaglia che mi ha sconvolto la vita, che mi ha proiettato in un'altra dimensione. E poi, tengo particolarmente alla Coppa Europa 1998: doppia vittoria, lungo e triplo, con doppio record nazionale. Altri momenti importanti, sono stati Siviglia ’99, con quel salto della Montalvo che era nullo, e che tutto il Mondo ha visto, e la rivincità di Edmonton 2001”. Accanto, sempre Gianni Iapichino. Il compagno, il marito, l’allenatore. “E’ stato importante per me. Anzi, determinante. Al cento per cento”. Si può parlare di una eredità di Fiona May nell’atletica? “Non lo so, è difficile a dirsi. Mi auguro, per il futuro, di poter rappresentare uno stimolo, di essere di ispirazione per chi vorrà scegliere la strada del salto in lungo. Vedo tanti giovani di belle speranze, in giro: ecco, mi piacerebbe che tra loro che ne fosse qualcuno desideroso di ripercorrere la mia strada”. Asafa Powell e Marion Jones: vicende umane e sportive diverse e contrastanti. “Asafa mi piace, è nato nella stessa città dei miei genitori, Santa Caterina. Ci dev’essere qualcosa di particolare laggiù: lui, io, mio cugino di secondo grado Donovan Bailey, Linford Christie, e tanti altri ancora... Chissà, forse è nell’aria. Di Marion Jones non voglio dire nulla. Non mi interessa. Parlarne non ha più senso”. Marco Sicari

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