Fiasconaro: cronologia di un mito

26 Giugno 2013

di Augusto Frasca

All’arrivo a Fiumicino io e Luciano Barra. Poiché fra la truppa massiccia di giornalisti e fotografi m’era giunta all’orecchio l’ipotesi, maligna, “quello è sudafricano, ma che italiano”, di chiedergli il nome del presidente della Repubblica, andai incontro a Marcello prima del passaggio della dogana e lo misi sull’avviso facendogli ripetere tre o quattro volte il nome di Giuseppe Saragat. Spazzolino infilato nella tasca posteriore dei jeans.

Prime gare italiane, Milano, Roma Assoluti, maglia bianco-verde a righe orizzontali, Viareggio, prima Nazionale. A Milano, stesso tempo, 46”7, stessa pista, 16 luglio ’39, del vecchio primato di Mariolino Lanzi, sbagliando partenza, rischiando di sbattere il muso sulla pista, avendo spostato in avanti dai blocchi il piede anteriore..

Ad Helsinki la cosa più bella fu la 4x400, Cellerino, Puosi, Bello e Marcello, ultimo cambio con 6-7 metri di svantaggio da Werner e da Nallet. Partì come una belva, e quando il francese tentò di stringerlo all’uscita della prima curva, Marcello gli dette una spallata spedendolo in quarta corsia. Negli ultimi giorni di gara arrivò anche Gualtiero Zanetti. Oscar Eleni aveva rimpiazzato Berra, bloccato con il primo ictus all’ospedale Botnik di Mosca.

Nell’autunno del ’71 accompagnai Alfredo Pigna per un servizio a Formia, dove con Tito Morale era concentrato il gruppo dei quattrocentisti. Marcello con l’italiano aveva forti difficoltà. Quando all’inizio dell’inverno lo accompagnai alla tv, corso Sempione, per la Domenica sportiva – conduttore Pigna, curatore Aldo De Martino, regista Bruno Beneck – stette venti minuti davanti ad uno specchio ripetendo “tanti auguri agli italiani a Sapporo”, Olimpiade invernale. Quella frase gli è rimasta impressa, e a distanza d’anni è il suo saluto abituale quando abbiamo occasione d’incontro.

Monaco ’72. Marcello aveva un tendine a pezzi, e Nebiolo avrebbe pagato milioni per farlo gareggiare. S’era portato dietro, con diffuso disappunto dei “coniferi”, Ruben Oliva, detto ‘iniezione facile’ (di cortisone).

Quando andò per la prima volta nella sede del Cus Torino, sua società, via Braccini 1, malgrado gli avessi detto, “attento, so già quale foto uscirà domani su Tuttosport e sulla Stampa”, dopo aver fatto foto con l’atleta, Nebiolo insistette perché Marcello ne facesse una con Caterina, celebre segretaria del Cus, nota per le imponenti misure del seno. Risulltato, fu pubblicata l’accoppiata Marcello-Caterina, con Nebiolo incazzato perché di lui non v’era traccia.

Milano ’73, record. Gli tenni compagnia per circa mezz’ora, con il massaggiatore Massarut, nello spogliatoio: mal di testa feroce. Cronometristi, Giuseppe Brambilla, Dante Poma, Virgilio Bonvici, Luciano Ponzinibio. Al rientro a Roma avvertii il pilota – era mia abitudine quando si rientrava con buoni risultati – della presenza sull’aereo del nuovo primatista mondiale, e fu un’apoteosi.

Oslo ’73, sono convinto che la mossa intempestiva di Marcello, che tuttavia non meritava la squalifica – giudice di partenza Steinbacken, in un clima che a pelle sentivamo ostile agli italiani – lo avrebbe penalizzato, perché, partendo in piedi, spostò leggermente in avanti il piede anteriore: doveva essere un suo vizio. e sono anche convinto che di partenza falsa fu autore Yevgeni Arzhanov, ultima corsia esterna. Pierluigi Gatti, inferocito, ombrello in mano, fu il primo, con me, Barra e Tosi, a scendere in pista,  lui per fare casino, io, avendo intuito che quell’atteggiamento, anche se istintivamente giustificabile, non avrebbe risolto nulla, a gettare gli italiani fuori dal campo. Franco Fava fu il più esagitato, e fu trasportato a braccia dalla polizia. L’Ambasciata mi inviò la rassegna stampa, e conservai gelosamente la pagina del Dagbladdett che titolava, a firma e con fotina di Are Borgir, “togliete gli Europei all’Italia”.

Nel ’74, all’ultima giornata dei campionati, con un successo organizzativo ampiamente assicurato, feci lasciare nella cassetta personalizzata del Centro Stampa la fotocopia dell’anno precedente, con i miei complimenti. La nemesi fu completata da quanto mi fu raccontato poi da Nicola Candeloro, che avevo requisito come coordinatore del Centro Stampa: Borgir prese i due fogli, diventò rosso come una melanzana bollita ed iniziò a salire le scale della palestra del Foro Italico per accedere ai servizi telefonici. A metà strada, gli sfuggì di mano la macchina per scrivere: come la carrozzina della Corazzata Potemkin, la macchina si fece uno scalino dietro l’altro, perdendo tre o quattro tasti ad ogni ricaduta. Da allora non ho più rivisto il norvegese.

Due particolari di quel giorno infausto: Marcello, che nella cena finale si accomodò al tavolo della squadra inglese, e non fu un bel gesto, anche se probabilmente non calcolato, e il telegramma che mi consegnarono la mattina successiva in albergo, inviato a Zelio Zucchi. Il buon Zelio era partito di buon mattino alla volta di Copenaghen in compagnia di Ludovico Perricone. Essendo irrintracciabile e non esistendo cellulari, aprii il telegramma: uno scandalizzato Piero Ottone chiedeva di condannare senza appello il comportamento degli italiani.       

Marcello rischia seriamente ove fosse punto da un’ape. Me lo rivelò il padre, un giorno, al bar del tennis, quando lo vidi diventar pallido per un insetto che ronzava attorno a Marcello, che di quell’inconveniente era all’oscuro.

Modesta opinione: a parte alcune becere consuetudini calcistiche, tipo Maradona, Fiasconaro è stato il massimo mai espresso in Italia, a livello individuale, sul versante sport-spettacolo.



Condividi con
Seguici su: