Europei di cross: solo un paio di appunti



Dire che in tutto questo c'è una morale, probabilmente è eccessivo. Però, cercando di non scivolare nell'autocelebrazione (sempre patetica, anche quando legittimata da fatti tanto belli quanto incontestabili), qualcosa probabilmente va detta. Soprattutto per evitare che una così bella pagina della piccola-grande storia della nostra atletica, scivoli via senza un minimo – tale è ciò che può offrire chi scrive – di riflessione. La partenza, ovviamente, non può che avvenire dal giardino di casa, ovvero dai risultati colti dagli azzurri. A metà mattinata, domenica, la considerazione più diffusa era questa: in due ore, sono arrivate più medaglie (cinque) di quante ne erano state raccolte in dodici edizioni (quattro). Contro gli stessi avversari, seppur - facciamo contenti i pignoli - in un programma aumentato di due prove. Italiani straripanti nel settore giovanile, italiani che se ne vanno in fuga e arrivano al traguardo da soli (Lalli), che entrano nello stadio da quarti e finiscono col bronzo al collo (Meucci), che beccano una chiodata micidiale in partenza e, invece di scoppiare a piangere chiamando la mamma, abbassano la testa e rimontano posizioni su posizioni, sfiorando il podio con un piede insanguinato (de Soccio). Esultando, alla fine, tutti insieme; incitandosi l'uno con l'altro; soffrendo l'uno per l'altro. Tra inni e premiazioni. Si potrebbero passare ore a discutere sulle ragioni che hanno determinato una così netta inversione di tendenza. A noi pare, però, che soprattutto una pesi più delle altre: questa volta, e soprattutto con il settore giovanile, la manifestazione è stata programmata nel dettaglio e con largo anticipo, puntando su un gruppo definito di atleti, e utilizzando strumenti di preparazione – leggi: raduni – più che in passato. Ovviamente, anche (anzi, soprattutto) in virtù del fatto che l’Europeo si sarebbe tenuto in casa. Il gruppo squadra si è mosso come tale dalla fine dell'estate, e la sua composizione è stata frutto di passaggi anche dolorosi (tipo quello di concentrarsi sui più giovani, per fare un esempio); scelte che, a conti fatti, hanno premiato chi le ha fatte, e segnato probabilmente anche una via per il futuro. Insomma: laddove c’è da ricostruire (e per ciò che riguarda il mezzofondo, probabilmente si raggiungerebbe l’unanimità dei pareri), inutile continuare a seguire la vecchia strada. Meglio sceglierne un’altra, provando a sostenere i migliori giovani, affinché spicchino il volo. E’ uno dei principi base del nuovo concetto di assistenza agli atleti sancito dal consiglio federale: funzionerà con tutti? I primi fatti concreti, quanto meno, sono incoraggianti. Largo ai giovani (se valgono e hanno voglia di essere aiutati). Largo anche ai tecnici che sanno ascoltare oltre che parlare, e amano spendere il proprio tempo con gli atleti (citazione meritata per Silvano Danzi e Pierino Endrizzi, maestri di low-profile). Sulle squadre assolute va fatto un discorso a parte. Mentre gli uomini non hanno chiaramente reso al meglio (l’onesta di atleti come Pusterla, De Nard, Leone, è tale che sono stati loro stessi a catalogare immediatamente l’esperienza come negativa, senza cercare attenuanti), le ragazze hanno fatto registrare dei progressi. Il loro quinto posto eguaglia la miglior prestazione mai ottenuta nell’europeo di cross, e soprattutto è il piazzamento più avanti in classifica dal lontano 1999 (venivano da un biennio in doppia cifra, undicesimo e decimo posto). Silvia Weissteiner (tredicesima: la rivedremo nelle piste indoor, e questa è una bellissima notizia) non era mai arrivata così vicino alle prime. Dati che meritano di essere evidenziati, se non altro per completezza di informazione. In definitiva, dire che il mezzofondo italiano sia risorto a San Giorgio è certamente un azzardo. Affermare però che si cominciano a intravedere dei concreti segnali di riscossa,è assolutamente un dato di fatto. La speranza è di vederli presto trasformati in risultati in pista, su 5000 e 10000 metri. L’Europeo è stato un grande successo anche sul piano organizzativo. La EAA ha più volte sottolineato il fatto, andando ben oltre la consuetudine (i complimenti a chi organizza, lo sappiamo, si fanno sempre: e spesso sono bugiardi). Dal presidente Wirz, al direttore generale Milz, passando per i consiglieri coinvolti nel coordinamento, è stato un coro continuo, perpetuato anche nelle riunioni operative a porte chiuse (quelle in cui, insomma, si dice solo la verità…). Altissimi gli standard raggiunti da ogni punto di vista: nella gestione tecnica della manifestazione, nella logistica, nelle strutture messe a disposizione di tutte le diverse categorie coinvolte (atleti, dirigenti, media, pubblico: a proposito: secondo molti osservatori, c’erano circa cinquemila persone sul percorso). Le ultime edizioni della manifestazione avevano segnato un indirizzo al ribasso: San Giorgio su Legnano ha decisamente rilanciato la rassegna continentale di campestre. E’ la conferma di una tradizione italiana anche recente (un tris di livello: le due Coppe Europa di Firenze e il Mondiale Junior di Grosseto, per non parlare dell’annuale appuntamento con il Golden Gala), ma soprattutto un buon viatico per la lunga serie di manifestazioni internazionali di livello assoluto programmate nel nostro paese. In prima fila a San Giorgio, gli organizzatori locali, bravi a coinvolgere nell’allestimento dell’europeo il proprio territorio; dietro le quinte, la capacità e l’esperienza di un gruppo interno alla FIDAL, conosciuto, rispettato, stimato nel mondo. Un patrimonio che è dell’atletica italiana, ed il cui valore è troppo spesso sottaciuto. Marco Sicari Nella foto in alto, l'arrivo in solitaria di Andrea Lalli; nell'immagine in basso, la squadra junior campione d'Europa (Giancarlo Colombo per Omega/FIDAL)


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