Don Finlay il pilota dei 110hs

01 Luglio 2014

La storia del britannico, oro europeo e argento olimpico delle barriere alte, pilota della RAF durante la seconda guerra mondiale

di Giorgio Cimbrico

Ottant’anni fa, Giochi dell’Impero Britannico allo stadio londinese di White City: dopo quella inaugurale di Hamilton, Ontario, la seconda edizione doveva esser ospitata dalla ricca Johannesburg ma i canadesi, e non solo loro, dissero che non sarebbero andati dove neri, meticci e indiani venivano discriminati. A quel tempo non si parlava di stelle, tutto andava avanti molto alla buona, ma che Godfrey Rampling e Donald Finlay, per tutti Don, fossero attesi, questo è solido come la Rocca di Gibilterra.

Rampling, papà di Charlotte e destinato a una vita infinita (si spense a 100 anni, onorato dai trombettieri della Regina) vinse il quarto di miglio e diede il suo immancabile contributo alla staffetta del miglio che avrebbe vissuto un’apoteosi due anni dopo a Berlino. Quanto a Finlay, a Los Angeles aveva contribuito a scrivere una prima volta nella storia dell’atletica: la revisione del filmato e della “fotografia” aveva stabilito che la medaglia di bronzo dei 110 toccasse lui. Sul podio l’aveva avuta uno dei tre americani, Jack Keller, costretto ad allungarla al britannico quando si incontrarono al Villaggio: “Ehi, Don: è tua”.

A Londra, Don, alto, magro, originario di Christchurch, Hampshire (dove era nato nel 1909) non ebbe molte difficoltà a diventare campione imperiale delle 120 yards con barriere, lasciando a tre decimi, in 15”2, il canadese James Worrall. Due anni dopo, all’Olympiastadion, avrebbe trovato un avversario imbattibile, il bell’americano Forrest Towns (che di lì a poco avrebbe portato il record mondiale a uno stordente 13”7), senza però esserne travolto: 14”2 per Forrest, 14”4 per Don che, specialista negli arrivi serrati, bruciò per pochi centimetri Frederick Pollard. Finlay fa ancora in tempo a diventare campione europeo a Parigi, nel ’38: è in quel momento che si interrompe la sua prima vita in pista e sta per iniziarne un’altra, tra le nuvole. Pilota sin dal suo arruolamento nella Raf, nel ’35, è uno dei protagonisti della Battaglia d’Inghilterra. I duelli, per lui, prendono il via nell’agosto del ’40: il suo Spitfire viene abbattuto sopra Ramsgate, lui se la cava, torna in azione con il 41° Squadrone, e poco dopo può festeggiare la prima vittoria, eliminando dal cielo un Messerschmitt 109.

Sulla Manica, giorno dopo giorno, volano i Dornier 17 che vanno scaricare il loro carico di bombe su Londra, scortati da squadriglie di 109. Gi scontri sono epici, terribili, senza tregua: nel novembre del ’40 Don abbatte altri due caccia tedeschi, subisce danni in un faccia a faccia contro il tenente Hans Bob, viene promosso prima comandante di stormo e poi di squadrone, riceve la Dfc (Distinguished Flying Cross) e può esibire sulla coda del suo “Sputafuoco” quattro vittorie. Nel ’42 è trasferito in Medio Oriente e, mentre la guerra si sta esaurendo in Occidente, per lui il conflitto continua in Asia, in appoggio all’offensiva che costringe alla rotta le truppe giapponesi in Birmania.

Nel ’48, ai Giochi di Londra, non è lontano dai 40 anni e decidono di nominarlo capitano della squadra britannica e di fargli leggere il giuramento olimpico. E’ sempre il vecchio Don, secco, essenziale, capace di dominare i campionati della Raf nella velocità, negli ostacoli, nel salto in alo, ma l’Olimpiade è la più severa delle maestre: il piede d‘attacco prende in pieno un ostacolo e lo porta a rovinare a terra sul traguardo. Fuori in batteria. Il tempo è crudele anche con gli eroi. L’anno dopo, ultimo atto ai campionati dell’AAA: per l’ottava volta è campione sugli ostacoli alti. Un addio da invitto.

Se Lawrence d’Arabia era passato indenne nella guerra del deserto ed era stato fregato da una sbandata in moto, Don, uscito vivo dai duelli negli azzurri spazi, viene coinvolto in un grave incidente automobilistico che lo porterà a un lento e doloroso epilogo appena oltre i 60 anni. Da due anni un Tornado della Raf porta sulla coda il suo nome e le sue glorie olimpiche.

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