Beer, l'argento all'ombra di Beamon

19 Ottobre 2015

La storia del lunghista tedesco che ai Giochi Olimpici di Città del Messico 1968 saltò sorprendentemente sul secondo gradino del podio nel giorno dell'impressionante 8,90 del recordman mondiale statunitense

di Giorgio Cimbrico

Inaspettati, sorprendenti, fortunati, spesso dimenticati. Sono i piazzati che la memoria e il ricordo hanno rimosso perché in quel che per loro è stato il giorno dei giorni, qualcuno ha fatto meglio, molto meglio, calamitando attenzione, catturando tutta la scorta di entusiasmo, scalando il cielo che non è vero non abbia preferenze. Loro sono finiti coperti dalla polvere del tempo: necessario un respiro profondo per spazzarla via e ripulire con attenzione, come per una statuetta antica, come per un’anfora leggiadra, quel che sta sotto questa coltre. Spesso il pezzo che ne esce fuori è prezioso.

Il custode della collezione può rovistare nelle tasche, pescare la chiave giusta, aprire la galleria e mostrare uno dei pezzi più pregiati. Riguarda un tipo che oggi gravita sui 73 anni e foto abbastanza recenti lo offrono con un’abbondante capigliatura ricciuta e una barbaccia bianca, con qualche somiglianza con Paul Breitner, uno dei grandi della Grande Germania degli anni Settanta. Tedesco anche lui, ma a quel tempo dell’altra parte: Klaus Beer veniva dalla Slesia, a lungo contesa con la Polonia, e portava la canottiera blu bordata di bianco della Ddr.

Beer è la medaglia d’argento della gara di Beamon, quella di molte cose: il 18 ottobre 1968, Mexico City, i 2,0 di vento a favore, l’8,90 e il collasso che colpì Bob quando Ralph Boston riuscì a fargli capire che aveva saltato quasi 30 piedi: a lui 8,90 diceva poco o nulla. In quella gara anche Klaus migliorò il suo record personale, di una decina di centimetri non di mezzo metro, e soprattutto riuscì a mantenere la calma attorno a una pedana che si stava trasformando nell’areopago dell’atletica. Tutti dovevano dire la loro. E quelle parole passarono alla storia.
Boston: “Bob, puoi star tranquillo. Io così lungo non posso saltare. Dovresti baciarmi il c….”.
Beamon: “Sì, va bene, mi hai convinto. Ma ci sono ancora il russo e quello della Gran Bretagna”.
Igor Ter Ovanesian, il russo, in realtà armeno: “Paragonato a quel che ha fatto lui, noi siamo dei bambini”.
Lynn Davies, il britannico, in realtà gallese, campione uscente: “Sarebbe bene ce ne andassimo tutti a casa. Ehi, Bob, hai distrutto la gara”.

Klaus non partecipò a questa tavola rotonda, a quest’assemblea spontanea, a questo talk-show improvvisato. Capì che tirava aria favorevole, in tutti i sensi, e atterrò,dove non era mai arrivato, a 8,19, tre centimetri davanti allo zio Ralph e sette sul principe Igor, e mise le mani sulla medaglia d’argento. A 71 centimetri da chi aveva realizzato il sogno leonardesco del primo volo umano. Non ebbe molto spazio nei resoconti ma ebbe il suo posto sul podio.

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