Alberto Cova, 60 anni e tre corone

01 Dicembre 2018

Oggi è un compleanno speciale per l’azzurro protagonista della tripletta d’oro sui 10.000 metri: campione europeo, mondiale e poi olimpico a Los Angeles 1984

di Giorgio Cimbrico

Le ultime volate che lasciarono il segno vennero offerte nella finale di Coppa Europa 1985: stadio Lenin, un caldo e umido agosto moscovita. Si trasformarono in un “uno-due”, vibrato a 24 ore di distanza, il primo al mento di Werner Schildhauer, cliente conosciuto, il secondo a quello di Thomas Wessinghage, migliarolo tedesco di gran classe. Prima gli amati 10.000, poi i 5000: per giorni il ct Enzo Rossi aveva assediato e assillato Alberto Cova. “Con due vittorie ci salviamo”. Alberto accettò, eseguì e ricevette l’omaggio del pubblico che era stato “ingrassato” con un paio di reggimenti di fanteria dell’Armata Rossa. Con quei due punteggi pieni, Italia sesta, attaccata all’élite.

Per il giorno di un compleanno tondo e importante come può esserlo il numero 60, era consentito ricorrere al “Cova, Cova, Cova, Cova” del crescendo di Paolo Rosi, quando Alberto inventò la meraviglia del possibile, o estrarre dall’archivio la prima esecuzione di cui fu vittima, un anno prima ad Atene, Schildhauer che aveva passo dinamitero ma dotato di una miccia che Alberto sapeva spegnere al momento opportuno. Forse si poteva anche andare a pescare la passeggiata di Los Angeles, non emozionante come gli sprint simili ad arrembaggi degli Europei ateniesi e dei Mondiali di Helsinki freschissimi di conio.

VIDEO | LA VITTORIA DI ALBERTO COVA AGLI EUROPEI DI ATENE 1982

E invece è sbucata, si è fatta largo quella doppia vittoria da “capitano mio capitano” con cui Alberto rispediva alle spalle il granatiere della Germania Democratica che proprio in Coppa Europa, due anni prima a Londra, era riuscito finalmente a mettere il naso davanti a quello, sottolineato dai baffi, dello spietato di Inverigo. E il giorno dopo era toccato all’altra Germana, quella dell’elegante Wessinghage. Quelle di Mosca non sono medaglie, non sono titoli, ma allungano la serie.

Con la sua aria di distinto tenentino inguainato in un’uniforme da seconda metà dell’Ottocento, Alberto è stato autore di uno Slam uguagliato solo quasi trent’anni dopo da Mohamed Farah: uno dopo l’altro, in una successione cronologica senza respiro, i titoli europeo, mondiale e olimpico dei 10.000, ponendo il sigillo del suo kick finale, in un’era che porta appiccicati il suo nome e il suo spunto. Più protratta nel tempo, solo quella di Adolfo Consolini, che non ebbe a sua disposizione i Mondiali per allargare la collezione.

VIDEO | ALBERTO COVA CAMPIONE DEL MONDO A HELSINKI 1983

Pro Patria, Esercito, Nazionale: colori diversi per i suoi giorni di tuono vissuti fianco a fianco di Giorgio Rondelli, allenatore e amico. La saga sfocia sin dentro il 1986 quando Alberto spezza, dopo 22 anni, l’assenza di un vincitore italiano a San Vittore Olona. La Cinque Mulini come la Sanremo: là la serie nera era stata interrotta dal bresciano Michele Dancelli, sui prati e tra il roteare delle pale del Meraviglia, ci pensa un comasco.

Vista a posteriori quella vittoria può apparire come un canto del cigno. Pochi mesi dopo, in un Neckarstadion dal clima autunnale, deporrà la corona continentale. Anche in quell’occasione, come a Helsinki, all’insegna di un ritmo rafficato: non più solo Cova, ma Mei-Cova-Antibo. Chi c’era non ha dimenticato e avverte ancora brividi.

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