Olimpiadi: Rudisha bis, Braz stupisce

16 Agosto 2016

L'ottocentista keniano conferma con autorevolezza l'oro di Londra 2012, l'astista brasiliano spicca il volo a quota 6,03 e supera il superfavorito Lavillenie (5,98)

RUDISHA, OTTOCENTO METRI E UN SOLO RE (di Giorgio Cimbrico)

La pioggia è la sua kriptonite: la forza si attenua, i superpoteri si sciolgono. David Rudisha si ammorbidisce, diventa vulnerabile. E così guarda il cielo, scuote il capo quando il tropico rovescia la sua cascata di lacrime che tambureggiano sulla pista. E poi, per citare “l’Audace colpo dei soliti ignoti”, l’ira di Giove Pluvio non porta più avanti la sua minaccia, la poggia cade più lieve sino a esaurire l’impeto e lui, il masai, il solito noto, è pronto a ripetere l’impresa di Londra.

“Sono stati anni duri”, rimugina tra sé le parole che regalerà dopo a chi gli affollerà attorno. Sconfitte, controperformance, un’operazione al ginocchio, la perdita dell’imbattibilità, la sensazione che una patina si sia depositata sulle cromature assolute offerte al mondo e al pubblico dello stadio di Stratford, quattro anni fa, quando l’operazione 100 secondi, iniziata sulle piste di Berlino e di Rieti, entrò nel vivo regalando il più grande mezzo miglio della storia, la gara che ha lasciato segni profondi nel cuore, nella testa, nel ricordo, nei sacri testi.Capita quando la muta può inseguire il più veloce e nobile dei cervi. Nel caso di David, il più elegante tra i kudu.

Che Rudisha abbia rivisto e ritoccato la tattica, si era capito l’anno scorso a Pechino. Ora l’obiettivo è limare gli artigli a Taoufik Makhloufi, l’algerino dal sorriso sottile e crudele che a Londra infilzò il mondo dei 1500 da sconosciuto killer: una finale a modesta velocità di crociera consegnerebbe il titolo al nordafricano. A sventare l’opzione minacciosa, collabora la corsa pazza del giovane Alfred Kipketer che brucia il primo giro in 49”24.

Era uno schema, un accordo, un gioco di squadra? A occhio no, perché l’ennesimo virgulto cresciuto dalle parti della Rift Valley non si fa da parte, come una lepre addomesticata, ed è quasi d’ingombro quando ai 250 finali David alza il regime, seguito da un convinto Pierre Ambroise Bosse che pensa al colpo grosso: concittadino di Jules Verne, lavora molto di fantasia, prima di ricadere violentemente sulla terra, di perdere tutto, anche il bronzo, catturato da Clayton Murphy, un giovane sconosciuto che viene da una fattoria dell’Ohio e fornisce così una di quelle storie esemplari così amate dagli americani.

Londra, con la sua magnifica messe di tempi, rimane imbattuta, ma la finale di Rio (tre sotto gli 1’43”, Rudisha a 1’42”15,  Makhloufi al record nazionale portato a 1’42”61, Murphy, 1’42”93, a minacciare quello ultratrentennale di Johnny Gray) sale sul podio delle gare che lasciano il segno, conferma David come il più ricco accumulatore di prestazioni: delle migliori 18 i tutti i tempi, tra 1’40”91 e 1’42”15, 11 sono sue. Il “danese” Wilson Kpketer è a quota 4, Sebastian Coe, Nijel Amos e Joaquim Cruz a 1.

David, il nome del re che abbatté Golia, suonava l’arpa e scriveva magnifiche poesie, raggiunge il britannico Douglas Lowe, l’aviatore americano Malvin Whitfield, il neozelandese Peter Snell, i tre che segnarono le loro epoche (gli anni Venti, il secondo dopoguerra, gli anni Sessanta) con un titolo confermato quattro anni dopo. A Tokyo avrà 31 anni e mezzo, l’età giusta per la terza corona, per la solitudine dell’Ottocentista. La O maiuscola non è un errore di battitura.

THIAGO BRAZ, L'ORO DI UNA NAZIONE (di Marco Buccellato)

Uno. Il primo posto al tavolo del poker dell’asta. Ma quale poker. Col fardello di un errore a 5,75 in sacca, il podio già matematico, l’argento negli occhi dopo l’uscita dell’americano Kendricks, a Thiago Braz da Silva si è prospettato il bivio della vita. Volo radente su quanto conquistato, volo apicale per giocarsi il top. L’età che non torna più, il momento che passa davanti, da afferrare. Non era un tutto o niente. Era tutto o qualcosa meno. Meglio tutto.

Due. Le medaglie d’oro del ragazzo in un world contest. Prima, l’oro mondiale junior a Barcellona. Come Jean Galfione, altro che fece capolino sotto i venti anni collocandosi al vertice iridato di categoria, poi si prese l’oro olimpico di Atlanta. Stesso condominio. Piano di sotto. Citofonare Braz, interno uno.

Tre.

I tre tentativi imposti a Renaud Lavillenie per vincerla ‘sta benedetta gara, a 6,03, quota mai violata in una finale olimpica. I primi due del francese alti, belli, sontuosi ma imperfetti. Il terzo, onorato dopo i fischi di chi ignora l'eleganza della Regina dello Sport, ultima chance e ultima spiaggia. Non quella di Copacabana. In acqua, forse, ci sarebbe stata più gente che allo stadio. Ma l’urlo dei pochi rimasti è arrivato fin laggiù.

Cinque. Le medaglie d’oro dell’atletica brasiliana nella storia dei Giochi. L’ultima otto anni fa a Pechino, il capolavoro della lunghista Maggi. Prima, Cruz il divino, bello e elegante, che incantò Los Angeles. Qui, l'abbondanza non era la parola all'ordine del giorno. La Murer, la marciatrice, soprattutto lui. Vittoria della freddezza, alla faccia della giovane età.

Sei. E zero tre. All’aperto la prestazione numero sei. Primati a parte, la più pesante di tutte, perché fa vincere l’Olimpiade dove nessuno mai era salito così in alto, e in casa. Venti minuti prima, Lavillenie aveva portato il record olimpico a 5,98. Gli resta la miglior misura per un argento. Alla fame di Thiago, ciò non interessava.

Otto. Le nazioni che possono vantare l’oro olimpico nel salto con l’asta maschile. Stati Uniti diciannove volte, Francia quattro, Polonia due, una ciascuno per Unione Sovietica, Comunità degli Stati Indipendenti (Barcellona 1992), Germania dell’Est e Australia. Si affaccia, con Braz, il Sud America, e all'Olimpiade in casa. Onorata nel migliore dei modi.

Trecentosessantacinque. L’ultimo twitt di @ThiagoBrazPV, a un anno esatto dall’inizio dei Giochi di Rio. Il piano era semplice. Superarsi, e per questo ha scelto il silenzio, poche distrazioni, la sapiente guida del guru Petrov, l’ateneo di Formia, università dell’asta. Negli ultimi mesi, con nessuna gara sbagliata, il segno di essere sulla buona strada.

Duecento milioni. Gli abitanti del paese più in bilico del pianeta, tra  allegria, malinconia e rassegnazione. Lui ci credeva e pochi altri. Era necessario avere una visione, una suggestione, un presagio.  La visione di una vittoria così grande da portare l’eco del nome Thiago Braz a duecento milioni di brasiliani. Una intera nazione in ascolto.

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OLIMPIADI RIO 2016: LA GUIDA ALLE GARE

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