Antonietta Di Martino saluta l'atletica

03 Giugno 2015

La primatista italiana assoluta e plurimedagliata internazionale del salto in alto ha annunciato oggi il ritiro dalle competizioni nel corso della conferenza stampa del Golden Gala Pietro Mennea

Deve ancora alzarsi il sipario del Golden Gala Pietro Mennea, ma la viglia del meeting internazionale in scena domani sera (4 giugno) allo Stadio Olimpico di Roma regala già tante emozioni. Soprattutto per l'atletica azzurra. Un argento e un bronzo mondiale all'aperto. In sala è stata campionessa d'Europa nel 2011, argento continentale nel 2007 e vicecampionessa iridata nel 2012 a Instabul, l'ultima di una magnifica collezione di 25 maglie azzurre. Il tutto a partire da 1,69 di altezza. Antonietta Di Martino, la primatista italiana assoluta di salto in alto che ha fatto volare fino a quota 2,04 (indoor, 2,03 all'aperto) un record che prima di lei aveva impresso il nome doratissimo di Sara Simeoni. Oggi, per la 37enne delle Fiamme Gialle, un annuncio che chiude un bel capitolo della storia dell'atletica azzurra: “Sono qui per dare l’addio alle gare. E’ stata una decisione presa con il tempo. Ho cercato di recuperare, di riuscire a tornare l’atleta che ero, ma per me è una scelta doverosa anche nei miei confronti. Penso che ci sia un tempo per ogni cosa, e che il mio tempo nell’atletica sia finito. Sono un po’ emozionata, però è normale che sia così”. La Di Martino ha partecipato cinque volte al Golden Gala con l'indimenticabile vittoria del 2009 quando superò i 2 metri e un'avversaria imponente come Blanka Vlasic.
 
di Giorgio Cimbrico
 
“Madonna, come sono alte: non me le ricordavo più”, sorride Antonietta, dopo aver spazzato via una piccola raffica di lacrime. E occhieggia verso Blanka Vlasic, lunga in maniera spropositata, tentacolare, e verso Anna Chicherova, sottile e flessuosa come un giunco. Alessia Trost e Maria Kuchina hanno 22 anni, non appartengono al suo mondo, al suo passato. Alte anche loro, specie la friulana con una vena di sangue sloveno. Dice addio la più piccola delle grandi e per piccola c’è solo da intendere il numero di centimetri, 169, per un differenziale statura-misura superata che la mantiene ancora in testa alla lista mondiale di sempre: 35 centimetri, un paio d palmi, un piede abbondante. L’avesse imitata, Blanka sarebbe arrivata nei pressi dei 2,30; Anna, la bella armena, appena più in basso.
 
Come dicono i sudamericani, Di Martino aveva la garra, la carica agonistica, la voglia di lottare, l’impossibilità della resa anche di fronte a quelli che Amleto chiamava gli strali della sorte, e aveva un gesto rapido e perfetto: un coltello a serramanico che si apre e si chiude, in un lampo. E oggi, a 37 anni e due giorni e a pochi minuti dall’aver detto “va bene così, è stato bello”, questo addio rimane indigesto perché è in forma perfetta, non un etto di più, tirata, con i muscoli giusti al posto giusto, terribilmente normale di fronte a certe denutrite che si incrociano sulle pedane, con braccine sottili come grissini, gambe che sembrano matite. La sfida alla gravità è una dannata faccenda e Antonietta la risolveva con le scintille che sprizzavano al momento dello scatto, con quell’elevarsi ascensoriale sotto l’asticella, con quell’azione fulminea in aria, con quel richiamo delle gambe che era difficile percepire. E così, in un rovesciamento dei gesti tradizionali, erano le lunghe che, in un gioco degli occhi, dovevano guardare verso il basso dopo essersi stupite che sulle loro teste fosse passato quel fulmine.
 
“Nella vita viene il tempo per ogni cosa”, dice Antonietta. E ora è l’addio, certo, ma nelle tappe di una lunga vita in pedana c’è stato il tempo per cullarne e viverne molte altre e la prima che viene in mente è la successione che di per sé è sempre una questione delicata, un momento solenne e storico quando lassù sta seduta Sara Simeoni, con quel doppio 2,01 scavalcato in 27 giorni quando Antonietta era tra i due e i tre mesi di vita. Le date soccorrono quando si tenta di ricostruire vita e opere in quattro e quattr’otto: Antonietta aveva compiuto 29 anni da 24 ore quando venne il momento di scrivere che il lungo regno era finito e che a Sara succedeva la capitanata coraggiosa di Cava de’ Tirreni, provincia di Salerno, 1,98 come in un paradiso all’improvviso prima di sprofondare nella malasuerte. E quando vedemmo un’italiana andare al di là di 2,02, il tuffo del cuore fu quello di un ascensore senza più funi a sostenerlo, del vuoto d’aria incassato da un aereo che naviga tranquillo. Sì, era accaduto: Simeoni spodestata da questa ragazza dai modi spicci, dotata di un realismo così solido da non averla mai portata a un lamento, anche nei momenti più bui. Tre settimane dopo il Memorial Nebiolo, scelse l’Arena napoleonica per salire ancora, 2,03, e poi puntare su Osaka dal clima impossibile che divenne improvvisamente molto gradevole quando si arrampicò ancora lassù, a 2,03, fianco a fianco con Anna Chicherova. Più in alto, due cm, solo Blanka Vlasic, l’albatros del Mediterraneo, il fenicottero di Croazia. E ci sono stati podi (ancora Mondiale a Daegu, terza) e una bella collezione al coperto, con un titolo europeo e un argento mondiale.
 
Salernitana e slovacca: a Banska Bystrica il suo primo 2,00, a Banska Bystrica il suo muro domato, 2,04 nel febbraio del 2011, la più alta misura superata da azzurra d’Italia, il capolavoro che l’ha elevata tra chi non ha mai pensato di esser frenato da quanto la natura ha offerto. Basta affilare la lama, diventare un coltello a serramanico. Lassù.
 



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