Olimpiadi: van Niekerk 43.03, record e leggenda

15 Agosto 2016

Il 24enne sudafricano riscrive la storia del giro di pista: a Rio stravince l'oro e, dopo 17 anni, manda in archivio il primato mondiale di Michael Johnson. Argento James 43.76 e bronzo Merritt 43.85: la più grande gara di sempre.

di Giorgio Cimbrico

“Vedevo che andava forte, ma non pensavo da 43”: ci ha messo il cuore”, dice LaShawn Merritt: gli occhi sono ancora sbarrati. “Correvo e mi dicevo: finirà in 43” e mezzo. Non vedeva nessuno, andava avanti e basta. Il record per uno che aveva avuto l’ottava corsia era di uno di Grenada come me, Alleyne Francique, quarto ad Atene, dodici anni fa: 44”66. Lui ha fatto un secondo e mezzo di meno”: e questa è la precisa testimonianza di Kirani James, quello che è arrivato più vicino, a 73 centesimi, l’abisso che Michael Johnson ha ribattezzato “massacro”. Ma anche l’Espresso di Waco non scherzava: ad Atlanta, 43”49, 92 cents su Roger Black.

E così Wayde Van Niekerk è entrato nella storia, nella leggenda, nella luce: oscura il più lento Usain Bolt della storia olimpica, dà al Sudafrica una medaglia d‘oro dopo vent’anni di attesa (ultimo, lo stortignaccolo Josia Thugwane nella maratona di Atlanta, quando il paese arcobaleno era appena uscito dall’oscurità), corre in 43”03 abbassando di 15 cents il mondiale sivigliano di MJ, vecchio quasi 17 anni, migliorando se stesso di 45 dopo aver solcato un corridoio in solitario; la sua cronometro in ottava corsia rimarrà memorabile. Rispetto a un anno fa a Pechino, nessun collasso, nessun mancamento.

Impressionanti rilevamenti parziali (split) parlano di 20”7 ai 200, di 31”0 ai 300 (MJ 31”66) e di 12” sull’ultimo rettilineo, il terreno sul quale forse Wayde, con la coda dell’occhio, vede per un attimo gli avversari: James e Merritt, fianco a fianco, sono a un metro e mezzo da lui. Ed è il momento in cui chi cala meno, fa e spacca la differenza e Van Niekerk dal piede leggero e alata sembra aumentare.

Non è così ma l’impressione è divina. Il primo uomo della tripla discesa sotto i 10”, i 20 e i 44”, rischia di passare altre porte, quelle dei 43”. E all’antica le passa: con crono manuale, 42”9. Roba da frazione di staffetta, estrema e lanciata.

La più grande gara della storia: dopo Wayde, 43”76 James (che cede la corona con l’onore delle armi e arriva a due cents dal suo personale), 43”85 Merritt, 44”01 Machel Cedenio. Per il trinidegno e per tutti gli altri i migliori tempi della storia per chi si è piazzato dal quarto all’ottavo posto.

L’impresa di Van Niekerk è anche la cessione di un feudo che gli americani, 19 titoli olimpici sul “quarto”, occupavano da sempre o quasi. Per trovare un primatista del mondo non americano, necessario tornare a Roma ’60 quando Carl Kaufmann, tedesco nato a New York, di professione tenore, divise il vertice cronometrico con Otis Davis, in fondo a uno dei più emozionanti arrivi della storia. 44”9 per entrambi e oro all'americano dopo un esame del fotofinish che gli diede la vittoria per un centesimo. Terzo un sudafricano (bianco) che correva senza paura, provando passaggi micidiali: Malcolm Spence. Ultimo recordman non Usa in solitudine, George Rhoden, 45”8 nel 1950, nel piccolo meeting di Eskilstuna: Rhoden era uno dei giamaicani che meritarono il nome di cavalieri del sogno.

Non è la prima volta che un sudafricano diventa campione olimpico dei 400. Nel 1920, ad Anversa, Bevil Rudd ebbe la meglio su un campo modesto: la guerra aveva spazzato via e fiaccato molti campioni. Rudd era uno studente di Oxford che si era trasferito nel paese che offriva interessanti opportunità. Fumava, beveva e per lunghi anni scrisse di atletica per il Daily Telegraph. Altri tempi, altri sudafricani.

Wayde è nato nel ’92, due anni dopo la liberazione di Nelson Mandela, è di Capetown e vive  Bloemfontein, Orange Free State, altura ma non troppo, 1400 metri sul livello del mare, è allenato da Ans Botha, 74 anni, già ribattezzata nonna coach (“Mi ha insegnato a essere concentrato, a cercare e a raggiungere gli obiettivi”), in estate si allena spesso a Gemona del Friuli. Nella sua figura, nel colore della sua pelle può esser letta la storia del paese, delle molteplici influenze, delle diverse linee di sangue.

“Sognavo questa medaglia da sempre e sapevo che avrei potuto farcela. Sono stato ispirato da Usain Bolt (qualche mese fa è andato ad allenarsi con il Lampo e lo ha messo in difficoltà in partenza) e da Michael Johnson ma anche i miei avversari James e Merritt hanno avuto su di me una forte influenza”. Alle immancabili e pressanti domande sul doping e sulla percezione che può avere la gente di un così tonante record, Wayde ha sbrigato con poche, decise parole: “So di non appartenere a quella dimensione”.

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Wayde van Niekerk e la sua coach Ans Botha durante un allenamento a Gemona del Friuli


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