Famiglie d'arte, le eredità italiane

26 Gennaio 2016

Storie di genitori e figli, fratelli e sorelle che hanno lasciato un segno nella storia dell'atletica. La seconda puntata è dedicata alle dinastie italiane.

di Giorgio Cimbrico

Dopo quelle mondiali, tocca alle storie italiane di famiglia, di eredità raccolte, di radici che nessuno ha pensato di estirpare, tutt’altro.
Per non ricorrere, come di consueto, alla famiglia Ottoz e magari a tutto quel veniva prima (Gabre Gabric, Sandro Calvesi) che quel nucleo (Eddy, Laurent, Patrick e Pilar) si formasse per monopolizzare per lunghi anni gli ostacoli alti, il via può esser dato con un altro gruppo storico: Frinolli significa Roberto, finalista a Messico, 49”14 nei turni eliminatori, Franco che approdò all’azzurro nel ’71, Bruno e Giorgio che nel lungo e negli ostacoli bassi diedero il loro contributo tra gli anni Novanta e gli inizi del nuovo secolo. Il capostipite è ovviamente Roberto che nell’atletica italiana ha recitato anche da commissario tecnico e che non manca, con il suo humour sommesso, di confidare storie che meritano di essere raccontate.

L’ultima: “Coppa Europa a Braunschweig, nel 2014: sono con la squadra e sull’aereo mi trovo accanto a Leonardo Capotosti, un giovane dolcissimo. Chiacchieriamo. A un certo punto lui mi domanda: ma lei faceva atletica? Sì, rispondo io. Gara? I 400hs, come te. E quanto faceva? Sui 49”. Davvero? Davvero. Ma allora lei deve essere Morale. No, sono Frinolli”. Aveva ragione quel buonanima di Alfredo Berra: Roberto era resta un personaggio degno di un racconto di Cechov.

Fine della digressione e avanti con padri, madri e prole atletica, facendo largo ai Tamberi che sprofondano nel tempo i loro exploit: con 1,86 nonno Bruno, toscano ma con addosso la maglia della Gil Spezia, fu primatista ligure per quindici anni dal ’39 al ’54, sino all’avvento di Gian Mario Roveraro. Marco ha portato il record di famiglia a 2,27 (e 2,28 al coperto) prima dell’irresistibile crescita di Gianmarco che a Eberstadt ha scavalcato in minuti fiammeggianti 2,35 e 2,37.

Al di là della linea tradizionale di casa, è andato Gianluca scagliando il giavellotto che nel suo anno migliore, il 2010, ha spedito non lontano dagli 80 metri.

Con 2,15 Roberto Azzaro, campione italiano juniores nel 2009, ha superato il record di mamma (Sara Simeoni), ma non è riuscito a impadronirsi di quello assoluto che rimane saldamente in pugno a Erminio con 2,18. Il saltatore di Pisciotta ebbe la chance di spingersi anche più in alto ma, lasciamolo raccontare, “quella sera al Madison Square Garden prima ebbi qualche difficoltà a tradurre i metri e i centimetri in piedi e pollici, poi al momento della rincorsa, iniziai a sentire dei gran colpi di mazza. Ma non vedete, mi sto concentrando, mi incavolai un po’. E uno degli operai: datti una mossa, stiamo schiodando pista e pedane perché domani mattina mettono il ghiaccio per l’hockey”.

Un’altra famiglia che ama spostare sempre l’asticella è quella dei Meloni-Vecchio: lui, Andrea, sardo e primatista regionale con 2,15 sino all’avvento del figlio; lei, Tiziana, alessandrina e capace di andare, ai suoi tempi, oltre il muro sempre significativo degli 1,80. Eugenio, 21 anni, da poco arruolato nei Carabinieri, si è portato tappa dopo tappa a 2,21 e l’anno scorso, agli Europei under 23 di Tallinn, è salito sul terzo gradino del podio.

Dopo molti salti, un po’ di corsa di  media e lunga lena nel segno di Federica Del Buono, nata da Gianni, l’uomo che terremotò il record italiano dei 5000 e si concesse il lusso di lasciarsi alle spalle il finlandese Juha Vaatainen, e da Rossella Gramola, parte importante della pattuglia veneta (Gabriella Dorio, Agnese Possamai) che seppe dare una svolta al mezzofondo rosa e azzurro.

Qui la prima puntata sulle famiglie d'arte, dedicata a genitori e figli, fratelli e sorelle dell'atletica mondiale.

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