Euroindoor, Chesani: un tesoro d'argento

09 Marzo 2015

Impresa del trentino delle Fiamme Oro: nella storia dell'atletica italiana nessun altista azzurro era mai andato oltre la medaglia di bronzo nelle grandi rassegne internazionali

di Giorgio Cimbrico

Se, per il luogo dove è stata conquistata (Praga), la medaglia d’argento di Alessia Trost ha costretto a risalire ancora una volta con gioia la collina di Strahov e rivivere la vittoria di Sara Simeoni, con record del mondo bis a 2,01, su Rosemarie Ackermann, anche il secondo posto di Silvano Chesani riporta in qualche modo nell’alveo della famiglia più alta d’Italia, residente a Rivoli Veronese. Il piccolo raccolto storico degli specialisti italiani si apre infatti con la medaglia di bronzo che Erminio Azzaro da Pisciotta, più tardi allenatore e marito di Sara, strappò nel 1969 sulla pedana del Karaiskakis, titolo europeo in palio. Come è capitato nella gara di Chesani, anche quel giorno al Pireo tutti e tre i destinatari di medaglie (nell’ordine il sovietico Valentin Gavrilov, il finlandese Reijo Vahala e, appunto, il bravo Erminio) superarono la stessa quota, 2,17, ma in tentativi diversi.

Se prima, parlando di raccolto storico, abbiamo usato l’aggettivo “piccolo” non è stato un caso. Nella sua storia l’atletica italiana ha collezionato nelle manifestazioni di respiro assoluto o continentale (Olimpiadi, Mondiali, Europei, Mondiali e Europei indoor), titoli e piazzamenti da podio in quasi tutte le specialità, spesso fondando riserve di caccia - gli ostacoli, le siepi, la velocità, la maratona, la marcia, il disco al tempo di Consolini e Tosi – ma rimediando nell’alto molto poco.

Dopo l’eurobronzo di Azzaro (venuto un anno dopo il sesto posto di Giacomo Crosa ai Giochi di Mexico City), ecco l’eurobronzo indoor di Massimo Di Giorgio nell’83 a Budapest, quando il furlan divise la medaglia a 2,27 con il polacco Miroslaw Wlodarczyk, alle spalle dei tedeschi Carlo Thranhardt e Gerd Nagel. Dopodiché, necessario arrivare a Chesani che, con il secondo posto nell’arena praghese, è diventato il saltatore italiano con la medaglia più preziosa.

La breve rievocazione suonerebbe assai diversa se, in quella sera piovosa di Helsinki 2005, Nicola Ciotti, gemello di Giulio, avesse superato 2,32. Già, ce l’avesse fatta, il romagnolo sarebbe diventato campione del mondo. Non ce la fece, ci riuscì l’ucraino Yuri Krimarenko e doppio argento, a 2,29, furono il cubano Victor Moya e il russo Jaroslav Rybakov. Stessa misura di Nick, quinto. A quasi dieci anni di distanza, chissà se ci pensa ancora.

RISULTATI/Results

FOTO - 1-2. giornata

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