Ayana, capolavoro olimpico

12 Agosto 2016

A Rio 2016, l'etiope campionessa olimpica con uno storico record del mondo nei 10.000 metri: 29:17.45

di Giorgio Cimbrico

Gambe sottili come matite, ritmo angelico e infernale: Almaz Ayana offre un capolavoro in uno stadio semivuoto. Sedici anni fa, a Sydney, per la prima mattinata dell’atletica (solo batterie e qualificazioni), 105.000 spettatori. Qui, a occhio, almeno 80.000 in meno. Beati i pochi, diceva Shakespeare, che hanno avuto in sorte una mezz’ora – scarsa – in cui il ritmo ha dipinto un affresco, ha narrato storie, ha stravolto la storia, ha regalato la seconda donna che in un futuro vicinissimo (tra una settimana) metterà le mani anche sulla corona olimpica dei 5000. Il muro dei 14’ cadrà il 19 agosto?

29’17”45 significa un sacco di cose: l’abbattimento, per 14”, di un record vecchio quasi un quarto di secolo, una delle pietre angolari del Celeste Impero fondato dalla pattuglia di Ma Yuren. In cinque giorni di un luminosissimo settembre, Wang Junxia aveva stabilito i record dei 1500, dei 3000 (due volte) e dei 10000, estirpando 42” al limite di Ingrid Kristiansen. Quel 29’31”78 aveva qualcosa di irreale. Altri record hanno assunto questa fisionomia – il 19”32 di Michael Johnson, ad esempio – ma quei 25 giri pechinesi, quella seconda parte in 14’26” avevano l’aspetto e la consistenza di un mistero d‘Oriente.

In quasi un quarto di secolo la barriera dei 30’ era stata violata solo quattro volte, tante quante ne ha offerto la gara di Rio, che ha regalato il primo, il terzo, il quarto e il quinto tempo di sempre, che ha stabilito nuove gerarchie: Tirunesh Dibaba, la killer gentile, da un anno e mezzo mamma di Natan (il papà è Sileshi Sihine e ai Giochi del 2036 sarà bene tenerlo d’occhio) ne esce duramente sconfitta (la seconda resa sulla distanza dopo quella di Hengelo) e al tempo stesso in grado di migliorare di 12” il record personale; Vivian Cheruiyot, piccola e indomabile kenyana, va a sfiorare il record di Wang ma si ritrova staccata di 15” da chi ha fatto storia e alzato il sipario su nuovi scenari, nuovi traguardi.

Almaz, il peso leggerissimo in grado di tirare un potente cazzotto (record personale migliorato di 50”, uno split sotto i 2’50” tra i 5000 e i 6000, una seconda parte in 14’30”), abita nel pianeta dove la cadenza è una musica che chi sa avvertire, scopre come celestiale, umanissima, uno dei gesti più armoniosi espressi dall’animale uomo che proprio dall’Etiopia e da altri luoghi dell’Africa Orientale ha preso il suo avvio

Viene dalla provincia del Benishangul Gumuz, estremo occidente dell’Etiopia, una regione addossata al Sudan, a maggioranza musulmana. La zona è montagnosa, senza giungere alle quote dell’altopiano dove sono nati e cresciuti Haile Gebrselassie, Kenenisa Bekele e il clan Dibaba: Asosa, il capoluogo, è a 1570 metri sul livello del mare. 24 anni, 25 a novembre, ha iniziato come siepista: quinta ai Mondiali juniores di Moncton 2010 e record mondiale di categoria a Bruxelles, 9’22”51. Due anni dopo passa ai 5000 e per tre secondi scende sotto i 15’. I progressi diventano clamorosi: al meeting parigino del 2013, estirpa mezzo minuto abbondante (14’25”84) e ai Mondiali di Mosca è terza dietro Meseret Defar e Mercy Cherono. Oggi ha in mano tre dei cinque tempi più veloci di sempre sui 5000: 14’14’32 l’anno scorso a Shanghai, 14’16”31 a Rabat allo stadio Mohamed VI, 14’12”59 il 2 giugno all’Olimpico di Roma. Il record del mondo di Tirunesh Dibaba, 14’11”15, è a 1”44.

Almaz e il clan Dibaba, quasi una saga: la bella e elegante Genzebe, la minore, è stata costretta ad assaggiare le asprezze che Ayana sa imprimere alle cadenze: è capitato nella finale mondiale di Pechino, quando Dibaba III sembrava lanciata verso un’accoppiata 1500-5000 riuscita ai Giochi Olimpici a Paavo Nurmi e Hicham el Guerrouj e ai Mondiali a Bernard Lagat. L’ambizione viene frustrata da questa esile figuretta capace di finire in 14’26” (stimata come la performance più brillante offerta nel Nido d’Uccello in formato iridato) e soprattutto di offrire tre chilometri finali sotto gli 8’20”, una specie di record personale “volante”, più o meno come l’1’57” lanciato di Genzebe nei 1500. Di fronte a quell’andatura che prende alla gola e sconvolge il battito cardiaco, Dibaba si arrende. Di Almaz non è amica,ma si congratula. Sa che una rivincita è già stata fissata, di lì a qualche giorno, sulla pista del Letzigrund, su una distanza, i 3000, che l’ha vista assestare formidabili progressi al limite indoor sino a uno stordente 8’16”60. Ma le prende anche in quell’occasione: Almaz si libera di Genzebe con un crescendo che inizia alla campana e prosegue con definitiva demolizione. L’8’22”34 finale è a 12 centesimi dal record personale. Da nemesi di Genzebe, Almaz aveva cominciato a recitare già nel 2014, ai Campionati Africani di Marrakech, stroncandola con un progressivo senza pietà in un 5000 iniziato su ritmi lenti. Ora è lei la piccola imperatrice d’Etiopia.

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OLIMPIADI RIO 2016: LA GUIDA ALLE GARE

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