Una storia al giorno

15 Febbraio 2014

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

15 febbraio. Dieci anni spaccati dal volo più alto, frenato solo da un tetto, di Giuseppe Gibilisco: 5,82. L’Eureka del siracusano non arrivò in un posto qualsiasi: Donetsk, la città d’elezione di Sergey Bubka, la sede del meeting tutto balzi mostruosi voluto dello zar di tutte le aste che aveva scelto questa pedana, questo ambiente caldo e affettuoso per scalare la più alta quota messa a segno in questo torneo lancia in resta: 6,15 nel ’93. Ne parleremo il 21 febbraio, quando cadrà l’anniversario dell’impresa e di un record che in questi ultimi tempi è stato minacciato da Renaud Lavillenie, il francesino che sta dimostrando che si possono fare cose straordinarie nche con un fisico molto normale. Anzi, all’osso.

Beppe è siciliano ma nell’inverno ucraino si è sempre trovato a suo agio. Se oggi sono passati dieci anni dal record italiano intoccato, spruzzato quel giorno anche di vittoria, domani saranno undici dal suo primo affacciarsi, di un centimetro, oltre i 5,70. Dove? Ancora a Donetsk. Quell’ascesa invernale, la prima, si trasformò nell’annuncio di quel che Beppe avrebbe combinato sei mesi dopo a Parigi, la sera in cui un vecchio amico – Guido Alessandrini – mi rivolse uno sguardo e parole che è difficile dimenticare: “Anche questo abbiamo visto: un italiano campione del mondo di salto con l’asta”. Gibilisco, in quel momento, meritava il titolo clamoroso perché aveva sovvertito la storia e la consuetudine. Era l’uomo che aveva morso il cane, era un Astolfo che aveva fatto rotta verso la luna infischiandosene del vuoto dello spazio.

Quella sera del 28 agosto 2003, con la calura che aveva lasciato Parigi regalando sere fresche e affollate, coincise con percezioni assolute. La più nitida arrivò quando, superato lo stretto più difficile, diventò chiaro, scontato che Beppe avrebbe avuto partita vinta. Spinse ad anticipare il pezzo che avremmo completato con la misura definitiva (per chi lo avesse dimenticato, 5,90), con i gesti del suo trionfo. L’indomani, da equilibrista, avrebbe camminato sulla spalletta della Senna regalando un’altra immagine, un altro spunto per chi come un segugio non lo perse di vista in quei suoi giorni di sogno che finirono per diventare anche i nostri.

Giorgio Cimbrico

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