Una storia al giorno

20 Dicembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

20 dicembre. Adolfo Consolini era come Primo Carnera, un gigante mite. E’ morto cinque giorni prima del Natale del ’69. aveva 52 anni e le ultime immagini lo regalano con la tuta del Sal Lugano perché In Italia dopo i 45 anni non si poteva più gareggiare e lui ne aveva sempre voglia.

Una decina d’anni fa, scendendo verso il Garda, da Rivoli Veronese, in compagnia di Sara Simeoni e di Erminio Azzaro (l’occasione era il 50° compleanno della Regina), la strada portò a passare per Costermano che, oltre a conservarne le spoglie, ad Adolfo ha dedicato un busto sulla piazza. Capitò di constatare come certe sotterranee linee di sangue, certi ruscelli di  linfa pura, attraversino i luoghi: tra Rivoli e Costermano correranno a dir tanto cinque chilometri, lungo i quali allineare cinque medaglie olimpiche e altrettanti record del mondo. Lì iniziò tutto, il lavoro nei campi, l’infortunio al bracco cadendo da uno dei cavalli che la famiglia usava per il lavoro, la scelta pragmatica, rustica, di rieducarlo con il gioco del tamburello, popolare da quelle parti, una piccola prova di sé come lottatore (era troppo buono e quando fece scrocchiar le ossa di un avversario ne ebbe pena ed evitò di continuare), l’intuizione di un allenatore: con quelle braccia, dove poteva spedire il disco? Pare la biografia, sospesa tra cielo e terra, di un titano, di un timido Ercole che non infierisce su Caco. 

Il partito gli mette le mani addosso, assegna un bracciante a genitori che si lamentano di aver perduto una tale forza-lavoro, lo trasferisce a  Milano e lui fa rizzare i capelli in testa a Boyd Comstock, il tecnico americano chiamato dal marchese Luigi Ridolfi per far soffiare aria nuova sull’atletica azzurra. Più tardi provocherà l’eccitazione di Giorgio Oberweger, l’albatros triestino che, terzo nel ’36, vede nel veneto l’erede e qualcosa di più e, più tardi, ricorrerà alla gherminella di iscriversi alla gara olimpica per tempestar di consigli quel gentile omaccione.

Al pari di Fausto Coppi, Consolini offre a una Milano livida un record del mondo in tempore belli: quello di Fausto è lungo un’ora e va in scena al Vigorelli, quello di Adolfo, in un singolare orario mattutino, le 11, viene misurato in 53,34 (otto centimetri oltre quanto aveva toccato Richie Harris quattro mesi prima a Stanford) e ha come palcoscenico il campo Giuriati.

Adolfo aveva esordito nel ’38, agli Europei di Parigi: quinto, non male per un ventunenne, ma la guerra gli porta via i Giochi dell’età d’oro, dei 23 e dei 27 anni. E’ in fondo a un tunnel interminabile che tocca a lui confermare che l’Italia è viva: il 14 aprile 1946, ancora al Giuriati, in una gara “fredda” (secondo, tal Selmi, con meno di 36 metri), tra le 15,20 e le 15,30 allunga prima a 53,69 e poi a 54,23. E’ la premessa di quel sta per capitare a Oslo, per gli Europei della rinascita e della conta degli assenti, morti e epurati. Luogo ricco di simboli: in Norvegia era stato creato uno dei più odiosi stati-fantoccio, il governo di Quisling; in Norvegia la resistenza si era battuta sfruttando l’arma della difficoltà ambientale. Un viaggio interminabile e periglioso, che ancor oggi viene raccontato con dovizia di particolari e con grande spirito da Carlino Monti, velocista, giornalista, scrittore, milanese di una milanesità ormai perduta: un Dakota americano che porta gli azzurri a Marsiglia e di lì a Copenhagen, prima che una tempesta blocchi a terra e permetta il decollo solo il giorno, quando al Bislett le gare stanno per iniziare. Consolini vince e sarà il primo dei suoi tre titoli europei, l’annuncio della gara olimpica e londinese sotto una pioggia sottile, la giornata che costringe (provocando un piacere panico) un giovane Brera a stendere un pezzo fluviale: occupa gran parte della prima della Gazzetta e tracima all’interno. Prende la testa Beppone Tosi da Castelletto Ticino, un corazziere che ama il rosso, specie il Ghemme delle sue parti. Risponde Adolfo spedendo il disco un metro esatto più in là, 52,78. All’ultimo turno la pedana è un cerchio di fango: la linea bianca, confine tra il lancio valido e il nullo, è quasi invisibile e la parabola disegnata dall’americano Fortune Gordien sembra lunga. La bandierina rossa alzata da un giudice annulla l’attesa di una misurazione che non avverrà. Adolfo e Beppone festeggiano con un fiasco. Meno di tre mesi dopo, all’Arena napoleonica, il campione porterà il record del mondo a 55,33, riprendendosi il vertice e valicando la barriera sfiorata due anni prima da Bob Fitch a Minneapolis..

Di Adolfo, Brera fu ammiratore, aedo, persino una sorta di manager in quell’estate scandinava del ‘52 seguita ai Giochi di Helsinki (Consolini finì secondo, a 1,25 dall’americano Sim Iness) quando i due decisero di andare a battere la scena dei meeting del Nord. Il gigante italiano appariva come un moderno e pacifico Thor, e Brera racconta che in uno di questi borghi affacciati sul mare – più che meeting, sagra paesana, festa di gusto pagano - Adolfo esplose in una botta tremenda e di come lui, novello Sancho Pancha, si dedicò a una misurazione effettuata con il più primitivo dei sistemi: la conta di lunghi passi. Furono sessanta: quel muro sarebbe stato abbattuto solo nove anni più tardi da Jay Silvester, collezionista di record e abbattitore di barriere (ufficiosamente due volte oltre i 70), mai capace di metter le mani sull’oro olimpico.

Brera conobbe a fondo Adolfo, misurò la sua timidezza, la ritrosia. E proprio nei giorni olimpici di Helsinki, nel bosco di Otaniemi dove sorgeva e sorge il razionalista villaggio in pietra e legno, usato e riusato per due successive edizioni degli Europei e dei Mondiali (i buoni vestiti devono essere utilizzati sino a vedere le trame della stoffa), divenne testimone della corte serrata, simile ad assedio, di Nina Dumbadze, bella georgiana che voleva a tutti i costi quel giovanotto dal profilo di medaglione. Dopo lunghi tentennamenti, la fortezza cadde. Il resto è una successione di fatti: il terzo titolo europeo, nel ’54; la partecipazione alla terza Olimpiade, a Melbourne, ormai vicino ai 40 anni (sesto, nel giorno del primo asso calato da Al Oerter, l’uomo del poker); il giuramento letto con quella voce sottile, spezzata dall’emozione, nell’Olimpico romano; il ruolo di un coraggioso fabbro antifascista in Cronache di poveri amanti.  Adolfo vinse la sua ultima gara sei mesi prima di andarsene. La tomba venne affidata allo scultore reatino Bernardino Morsani che, molti anni dopo, avrebbe onorato con una statua il centenario dell’impresa di Dorando Pietri.

Giorgio Cimbrico

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