Una storia al giorno

28 Novembre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

28 novembre. Quando, cinque mesi prima, si erano ritrovati faccia a faccia sulla pista norvegese di Bergen, sotto una fitta pioggia e con una temperatura appena al di là dei 10°, Gordon Pirie aveva avuto la meglio: in fondo a un “passo a due” di grande intensità, 13’36”8 per il britannico, 13’39”6 per Vladimir Kuts, tutti e due sotto il record del mondo di Sandor Iharos. Ora, senza l‘ungherese che aveva rinunciato al lungo volo verso Melbourne per tornare a Budapest, minacciata dai carri sovietici, per i due era venuto il momento del confronto che metteva in palio il titolo olimpico: la clessidra del tempo dice che sono passati 57 anni da quel pomeriggio di estate australe.

Cinque giorni prima, Kuts aveva terremotato i 10000 con una scarica di variazioni di ritmo degne di un africano (14’07” a metà gara, a qualche decimo dal record olimpico di Emil Zatopek sulla mezza distanza), stroncando Pirie con un’accelerazione violenta all’ottavo chilometro, relegando l’atleta di Leeds alla modestia dell’ottavo posto a un minuto abbondante, chiudendo in 28’45”6,  a una quindicina di secondi dal record del mondo scandito a Mosca davanti ai 100.000 dello stadio Lenin, lì riuniti per una manifestazione del partito che prevedeva quella parentesi per glorificare le qualità dei figli della Rodina, la Patria.

Sui 5000 Vladimir - Volodimir Kuc secondo la lingua ucraina tornata d’attualità con l’implosione dell’Urss - concesse meno spettacolo: si installò davanti, tenendo alta l’andatura, senza che nessuno avesse l’ardire di rilevarlo. A Pirie e Derek Ibbotson, connazionale e compagno di avventura, risultò chiaro che la tattica migliore era di starsene alle spalle per spartirsi le spoglie. Kuts fece doppietta in 13’39”6 (un nuovo record olimpico migliorato di 27”) affibbiando 11” a Pirie e 15” a Ibbotson.

Meno di un anno dopo avrebbe deliziato il pubblico dell’Olimpico romano con un magistrale 13’35” che nel 65 venne ritoccato da Ron Clarke in uno di quei solitari inseguimenti al record che l’australiano amava asai più che il confronto viso a viso. Quello dei 10000 ebbe vita più breve, abbattuto nel ’60 da un connazionale, Piotr Bolotnykov. Kuts, che aveva capelli biondo stoppa, si era ritirato l’anno precedente, perseguitato da crampi alla stomaco, da sospetti sull’uso di sostane illegali, dall’ombra dell’alcolismo. La notizia della sua morte, venuta quando aveva 48 anni, arrivò durante una Coppa Europa, a Nizza, e Robert Parienté, colto direttore dell’Equipe, scrisse un ricordo dal titolo che lasciò il segno: “Kuts, uno dei più grandi”.

Giorgio Cimbrico

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