Una storia al giorno

05 Ottobre 2013

Personaggi e vicende dell'atletica di sempre

5 ottobre. Uno di quei giorni che non esistono. Perlomeno, capitò così nel 1582 quando, con l’adozione del calendario gregoriano, la parentesi temporale tra il 5 e il 14 ottobre venne cancellata. E così, nel giorno che non c’è viene la tentazione di raccontare una storia che non è mai avvenuta o forse si  svolta in un universo parallelo, quel labirinto dello spazio-tempo dove tutto è possibile. Così ci hanno insegnato i maestri della fantascienza, i più attendibili testimoni della nostra vita, i più solidi tra i profeti.

Estate del ’32, Olimpiadi di Los Angeles: il 7 agosto è il giorno della maratona e il caldo umido della California è un severo compagno di avventura per il gruppo che prende il via. Dopo trenta chilometri, Lauri Virtanen, già medaglia di bronzo sui 5000 e sui 10000, interpreta il ruolo previsto dal copione: aumenta l’andatura in modo violento trascinandosi alle spalle il capitano Paavo Nurmi. Il giovane argentino Juan Carlos Zabala, piuttosto provato, e il britannico Samuele Ferris si scambiano un rapido sguardo: è il caso di provare a inseguire? Scrollano entrambi il capo e continuano con il loro passo. Davanti, Virtanen sta per esaurire il suo compito di apripista e la riserva di energie: al 35° chilometro Nurmi il Solitario è solo e ascolta il ritmo del suo cuore, non il ticchettare del cronometro che era solito stringere in pugno nelle gare in pista.

Il vantaggio è largo e l’applauso che lo attende al suo ingresso al Coliseum è un’ondata. E’ la decima medaglia d’oro olimpica e, in un attacco di vanità e in una visione, Paavo pensa che sarà difficile uguagliarlo. Stira persino il volto perennemente aggrottato in un raro sorriso quando gli dicono che ha chiuso in 2h28’06”, di gran lunga la migliore prestazione che mai sia stata registrata sui 42 chilometri. Ora ai Giochi ha vinto tutto, dai 1500 alla distanza più estrema e a 35 anni può ritirarsi in pace. Uno stremato Zabala arriva a tre minuti abbondanti, precedendo di meno di 20” Ferris, più vitale nell’ultimo tratto ma non più in grado di chiudere l’inseguimento sull’argentino. La sera, in un grande ricevimento in un hotel di Hollywood, Nurmi venne costretto a ricevere le pressanti attenzioni di Douglas Fairbanks e di Mary Pickford e, ruvido com’era, si limitò a quattro parole prima di prender commiato. Tornò verso l’alloggio della squadra finlandese camminando nella notte calda e…

Nurmi non corse la maratona di Los Angeles, non conquistò la sua decima medaglia d’oro. Chi teneva le redini dello sport – ricchi e aristocratici che non avevano ma tirato la carretta nelle strade di Turku – lo avevano squalificato per i dollari che aveva guadagnato, correndo e faticando, in un tour americano e che gli servirono per aprire un negozio. Domenica scorsa, a Berlino, Wilson Kipsang, terzo alle Olimpiadi, ha messo in tasca 90.000 euro.

Giorgio Cimbrico



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