Un giorno, un'impresa

04 Maggio 2013

Appuntamento quotidiano con le storie dell'atletica

4 maggio. Nulla a che fare con gli show globali, xxxlarge e visti da almeno tre miliardi di telespettatori: la cerimonia inaugurale dei Giochi di Parigi 1924 (44 paesi, 3070 atleti e per il momento l’inezia di 125 donne) fu una faccenda molto più modesta, ospitata dallo stadio di Colombes che, oltre che per Momenti di Gloria, avrebbe visto al lavoro un’altra troupe cinematografica per “Fuga per la Vittoria” di John Huston. Bellissimo il poster che a quel tempo si chiamava affiche: atleti a fronte alta e bandiere al vento. E bellissima anche la serie di quattro francobolli, ancora di forte gusto liberty: vittorie alate e eroi muscolosi, senza ipertrofie.

La Parigi che interessa a noi della tribù dell’atletica andrebbe rimandata, a livello di scadenze, un po’ più in là: le gare, che in molti casi offrirono eccellente materiale per la storia e per l’epos, andarono in scena a luglio. Rimane questo giorno che rappresenta l’inizio di tutto: l’indimenticabile show di Paavo Nurmi (l’oro dei 1500 e dei 5000 in meno di due ore e nella seconda fatica, quel primo chilometro in 2’46” per fiaccare Ritola merita un punto esclamativo), la vittoria negli 800 di Douglas Lowe nel giorno del suo 22° compleanno, la gara perfetta di Harold Osborne sino all’1,98 dell’oro, premessa del bis che avrebbe concesso nel decathlon, il primo successo di un nero americano (il lunghista William DeHart Hubbard, 7,44) in una gara individuale, il record mondiale nel triplo, 15,52, di Anthony Winter, primo canguro d’Australia, il bis di Jonnas Myrra, l’iniziatore della sterminata tradizione di Suomi-Finland. E naturalmente, Harold Abrahams e Eric Liddell, così cantati da finire nel mondo dei semidei.

Giorgio Cimbrico



Condividi con
Seguici su: