Un giorno, un'impresa
09 Aprile 20139 aprile. E’ il 1991 e ad Athens, Georgia, muore Forrest Towns che nello “stato delle pesche” era nato 77 anni prima, a Fitzgerald. Era bello come un attore del cinema, un tipo alla Robert Redford, e ha lasciato una grande storia e il più violento progresso in una gara veloce. Cominciamo con la storia: il padre di Forrest faceva il fabbro per le ferrovie e in casa di dollari ne giravano molto pochi, nemmeno uno per comprare un paio di scarpe e così per Spec, il suo soprannome, niente gare alla high school. Ma la passione del giovanotto è forte: padre e fratello gli costruiscono un paio di ritti e un’asticella e così Forrest può ingegnarsi nel giardino davanti a casa con un po’ di salto in alto. Un vicino lo vede, capisce che c’è stoffa e informa un giornalista che scrive una storia e la pubblica. La legge uno dei coach dell’University of Georgia che mette a disposizione una borsa di studio.
Tre anni più tardi Towns è campione olimpico dei 110hs ma non è che a Berlino 1936 si presenti da sconosciuto: il 15 maggio a Birmingham, Alabama (dove un quarto di secolo dopo sarebbe nato Carl Lewis), corre in 14”1, record mondiale, lo eguaglia il giorno dopo, sempre nell’ambito della Southeastern Conference, e fa tris una settimana dopo a New Orleans Il poker arriva il 19 giugno, a Chicago, nella finale dei campionati Ncaa: 14”1 con 2,4 di vento a favore, riconosciuto sia dalla Aau che dalla Iaaf: il limite dei 2,0 verrà ratificato solo durante il congresso che si svolge durante le Olimpiadi, il momento del suo quinto 14”1, nella semifinale corsa alle 15,07 del 6 agosto. Due ore dopo conquisterà la medaglia d’oro in 14”2, due decimi davanti all’eterno britannico Donald Finlay, al connazionale Fritz Pollard e allo svedese Hakan Lidman, fuori dal podio per questione di centimetri. Tutto questo potrebbe essere sufficiente ad assicurargli un posto nella storia, ma non basta.
Il 27 agosto Forrest è una delle stelle al meeting di Oslo, al Bislett. L’ora del colpo d’ala, senza un filo di vento, arriva alle 18,35: i cronometri ufficiali dicono 13”7, 13”7 e 13”8; quelli supplementari 13”6 e 13”7. Il record mondiale è demolito, cancellato: quattro decimi di progresso in una botta. Towns ha lasciato una bella testimonianza: “Dopo aver tagliato il filo mi sono guardato indietro e ho visto che solo in quel momento un altro era arrivato al traguardo (era il canadese Larry O’Connor, 14”6). Subito dopo qualcuno mi diede un colpetto sulla schiena: hai fatto il record mondiale, mi disse. E io: ho fatto 14” netti? No, hai fatto 13”7”. Sarebbero passati quasi undici anni prima che Harrison Dillard, alle Kansas Relays di Lawrence, corresse le 120 yards in 13”6.
Giorgio Cimbrico
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