Salti cinesi

13 Agosto 2015

Da Ni Zhiqin a Zhu Jianhua, la tradizione dell'alto in Cina oggi ha un nuovo protagonista: Zhang Guowei

di Giorgio Cimbrico

In attesa dello scontro, sul salto in alto la vecchia Cina ha cose interessanti da narrare e la storia può prendere il via l’8 novembre 1970 in uno stadio diverso dal Nido, lo Stadio dei Lavoratori di Changsha, nell’Hunan, in uno scenario che era abituale vedere nei telegiornali di quei tempi: il pubblico diventava un mosaico mobile che formava immagini di soldati, lavoratori, operaie, tutti al lavoro per il progresso della Repubblica Popolare, in nome di Mao Tse Tung. Mao Zedong, secondo nuova traslitterazione.

Dopo aver servito per quattro anni come insegnante di educazione fisica e esser tornato alle gare scavalcando una misura di pregio, 2,22, Ni Chih Chin (Ni Zhiqin) si presentò con la salda volontà di sottrarre a Valeri Brumel il record del mondo che il magnifico siberiano aveva portato a 2,28 sette anni prima, a Mosca, e che all’epoca rappresentava un obiettivo così lontano da apparire inattaccabile. Ni aveva 28 anni, era miope e i pochi filmati a disposizione lo offrono come un giovane di normale costruzione fisica (a plmi 1,84 per 72) e di eccellente tecnica, ma senza la formidabile capacità articolare che Brumel aveva nelle anche, al momento dello svincolo.

L’assalto iniziò con 1,98 e proseguì con 2,03, 2,13, 2,18 e 2,24, tutte quote superate alla prima prova. A 2,29, errore.

Fu allora che gli 80.000 si lanciarono in un canto che era una citazione dai pensieri del Grande Timoniere: “Sii determinato, non temere i sacrifici, supera tutti gli ostacoli sino alla vittoria finale”, Ni ascoltò e obbedì: 2,29. “Se i miei salti fossero alti come i pensieri del Segretario Mao, sarebbe necessaria una scala dei pompieri per misurarli”, commentò dopo esser diventato padrone di un record del mondo che non sarebbe mai stato suo: la Cina non faceva parte della Iaaf e non partecipava ai Giochi Olimpici. “Per noi atleti questo è il vero record del mondo”, disse generoso e entusiasta Dick Fosbury che due anni prima aveva aperto uno scisma che si sarebbe rivelato favorevole ai suoi adepti. Ni faceva parte dell’altra chiesa, quella dei ventralisti, destinata a raggiungere altre specie scomparse. Oggi ha 73 anni e chissà se farà un salto nel Nido.

Il record che leggi e regolamenti non concessero a Ni toccò in sorte, dopo la progressiva apertura della Cina al resto del mondo, a Zhu Jianhua che per l’impresa scelse un altro Stadio dei Lavoratori, quello di Pechino e delle grandi parate e ricorrenze della Repubblica Popolare. Era l’11 giugno 1983 e Zhu, nativo di Shanghai, aveva 20 anni: dopo un errore a 2,34, salì a 2,37 che sbrigò subito, prima di provare ad assaggiare 2,40.

Il 22 settembre, dopo il bronzo mondiale di Helsinki, nello stadio Hongkou della sua città natale salì a 2,38 e il 10 giugno dell’anno dopo aggiunse un altro centimetro, dando definitivo lustro alla pedana di Eberstadt e al suo caldo festival di salto in alto: quel giorno, Zhu 2,39, Carlo Thranhardt e Dietmar Mogenburg 2,36, ad affiancare Gerd Wessig al vertice europeo, Patrick Sjoberg quarto con 2,33 e Gerd Nagel quinto con 2,30 in quello che finì per essere giustamente considerato un anticipo della finale olimpica, risolta dal leggerissimo Mogenburg con 2,35 su Sjoberg, 2,33, e Zhu, 2,31. Al Coliseum la Cina vinse l’ufficiosa gara… a squadre: Liu Yunpeng finì settimo (con la misura di Ni) e Cai Shu ottavo.

Il terzo e ultimo record del mondo di Zhu ebbe vita abbastanza breve, un anno, sino alla prima intrusione nella dimensione dei 2,40 proposta da Rudolf Povarnitsyn, altisimo, magrissimo e dotato di un formidabile pomo d’Adamo, ma tenne duro come record asiatico per quasi trent’anni, sino all’avvento di Mutaz Essa Barshim. Oggi e ora è il tempo di Zhang Guowei, spilungone ridanciano da due metri, originario dello Shandong, arrivato a un centimetro dal celeste Zhu e prototipo di una nuova Cina, ormai lontana da quella che cantava pensieri di Mao per far volare Ni.

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