Roma +60: il ruggito di Giuseppina Leone

02 Settembre 2020

L’unica velocista azzurra sul podio olimpico: il 2 settembre di sessant’anni fa il bronzo nei 100 metri ai Giochi dell’Olimpico, nello sprint di Wilma Rudolph

di Giorgio Cimbrico

Il 3 settembre 1960 è una di quelle date che, direbbero i francesi, amanti delle definizioni sempre un po’ gonfie, sono scolpite nel marmo dell’atletica azzurra: il giorno di Livio Berruti. Del 2 settembre si parla molto meno e una ricerca, sia libresca, sia in rete, porta a risultati più modesti, perlopiù concentrati sulla prima vittoria di Wilma Rudolph, sulla sua storia di miseria e di riscatto.

Eppure è il giorno di una delle più preziose medaglie olimpiche italiane, conquistate da una concittadina di Livio e di quattro anni più anziana: Giuseppina Leone, bronzo nei 100 alla sua terza finale olimpica. Alla fine dei Giochi romani sarebbero diventate cinque. E questo è un dato di gran peso. La domanda è: come sarebbe trattata oggi dai media, dai new media, dai social network e da tutto quel repertorio di diavolerie Giuseppina, la più grande velocista italiana di tutti tempi, l’unica azzurra a esser salita su un podio olimpico? La risposta rimane, per fortuna, nel grembo del tempo passato. Giuseppina ricevette le attenzioni semplici e misurate del tempo. Senza isterie.

Segno del destino, Giuseppina è nata nel dicembre del ’34, a Torino, che pochi mesi prima della sua venuta al mondo, aveva dato alla luce i Campionati Europei, all’epoca solo maschili. Sessant’anni fa anticipò l’impresa di Berruti, visse il suo giorno più alto, medaglia di bronzo nei 100, in 11.3, con vento favorevole misurato a 2.8, molto vicina a Dorothy Hyman, britannica, figlia di un minatore dello Yorkshire (il crono elettrico ufficioso riporta 11.43 a 11.48) e davanti alla sovietica Maria Itkina. Oro a Wilma, ribattezzata la Gazzella, in 11.0/11.18; in semifinale, poco più di un’ora prima e in procinto di concedersi una dormitina nel segno dei nervi distesi, la ragazza del Tennessee aveva eguagliato in 11.3 il record mondiale, condiviso dall’australiana Shirley Strickland de la Hunty e dalla russa Vira Krepkina. Giuseppina era riuscita a seguire quella scia: seconda in 11.6, tre buoni metri davanti all’ucraina co-primatista.

A 25 anni Giuseppina, allenata dal futuro ct Marcello Pagani, era alla sua terza Olimpiade: eliminata nei quarti dei 100 a Helsinki (quando aveva meno di 18 anni), quinta sia sui 100 che in staffetta a Melbourne (nei giorni felici di Betty Cuthbert), proprio in quel ’56 aveva firmato il record europeo in 11.4 a Bologna in un appuntamento di fine stagione, quando il record del mondo distava appena un decimo.

Roma fu la sua vetta e il suo passo d’addio: sesta nei 200, dopo una curva troppo coraggiosa in cui aveva tenuto il passo di Rudolph (forse ispirata dal formidabile 23.7 che aveva centrato un mese prima a Belluno), quinta nella 4x100 con Letizia Bertoni, Sandra Valenti e Piera Tizzoni a un secondo appena abbondante dalle Tigerbelles guidate dalla solita, magnifica Wilma, decise che poteva finire lì. L’amore con Mario Paoletti, buon quattrocentista e dirigente Fiat, ebbe un ruolo determinante nella scelta e nell’addio.

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Giuseppina Leone sul podio olimpico con Wilma Rudolph e Dorothy Hyman


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