Quarant’anni senza Giuseppe Malaspina

24 Marzo 2022

Genovese, marciatore e poi allenatore, scoprì il talento del campione olimpico Abdon Pamich

Una vita per la marcia, da atleta e da allenatore. Lunedì 28 marzo saranno trascorsi quarant’anni dalla scomparsa di Giuseppe Malaspina, azzurro e campione italiano, poi affermato tecnico e scopritore di Abdon Pamich. E proprio l’olimpionico ha ricordato come “la sua è stata la prima vera scuola della marcia in Italia: non un gruppo eterogeneo, ma un modo di concepire la vita comune a tutti i suoi allievi”. Per i quali era soprattutto un grande educatore, con la capacità di trasmettere la passione verso i veri valori dello sport. Pretendeva la correttezza dello stile (“arrivare indietro, ma fare bella figura” diceva agli atleti) e guardava sempre lontano, senza aver fretta di risultati, con una sensibilità che gli permetteva di non sbagliare tattica di gara.

Genovese, nato il 28 maggio del 1910, negli anni Trenta diventò uno dei maggiori interpreti della specialità in un periodo difficile sotto ogni punto di vista, ma perse l’opportunità di partecipare ai Giochi olimpici a causa degli eventi bellici. Un autodidatta che si adattava a tutte le distanze, con una tecnica che veniva portata a esempio, e vinse il tricolore della 50 km nel 1941 oltre a vari altri titoli individuali e a squadre. Nella sua carriera di atleta il “Mala”, come veniva chiamato dagli amici, continuò anche dopo lo stop imposto dalla guerra e nonostante una ferita al piede che gli impediva l’articolazione.

Quando era ancora in attività nel 1952 entrò in contatto con il giovane Pamich (poi due volte sul podio nella 50 km olimpica, oro ai Giochi di Tokyo 1964 dopo il bronzo di Roma 1960, e due volte campione europeo nel 1962 e nel 1966), ma fu il tecnico anche di altri azzurri come Antonio De Gaetano e Sergio Cignoli. Tra le onorificenze ricevute, prima della morte avvenuta nel 1982, quella di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti sportivi e la Quercia di primo grado al merito atletico. A lui nel 2014 sono stati intitolati i giardini pubblici di via Monte Nero a Genova. Non amava mettersi in mostra e non scendeva a compromessi, ma era “un uomo serio che lavorava sodo e soprattutto credeva in quello che faceva”.

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