Pianeta atletica: le stelle del 2015

31 Dicembre 2015

I record del mondo, le medaglie più scintillanti e le imprese della rassegna iridata di Pechino: ecco il meglio dell'anno sulla scena internazionale

di Marco Buccellato

Ashton Eaton è l'unico atleta che ha realizzato un primato mondiale maschile in una specialità individuale su pista, per di più nel contesto iridato. Eaton ha aggiunto sei punti al record che gli apparteneva dai Trials olimpici 2012. Parlare di individuale è financo riduttivo: il decathlon, per spirito e solidarietà, è un collettivo cavalleresco. Il primato di Eaton è il picco dell'anno, condito da esperienze paranormali quali il 45"00 sui 400, un record nel record di 9.045 punti. Per disegnare i contorni della grandezza di Eaton, basti dire che dopo nove gare era già a  8.216 punti, cifra che solo in diciassette hanno raggiunto sulle dieci gare del decathlon nel corso dell'anno. Che sia l'atleta del 2015 non stupisce, campione di sport e sobrietà. Sangue misto, come tanti deca-guerrieri che dalla fatica han saputo tramandare arte.

La bella etiope Genzebe Dibaba ha rimosso un record dell'era del dragone. Figlia di quell'armata, Qu Yunxia sottrasse 2" al record del mondo dei 1500 metri di Tatyana Kazankina, fissandolo a 3'50"46. Quel primato è durato 22 anni, prima di essere "targetizzato" dalla più giovane delle Dibaba. Nel lussuoso proscenio, lo stadio Louis II nel Principato, l'aria mite della location contrasta con quella che tira assai pesante per il primato di Qu Yunxia: Chanelle Price è premio Oscar nel ruolo di lepre, un primo giro in 1" e spiccioli. La marcia trionfale di Genzebe si fa sinfonia con un altro giro da un minuto e quello finale in 59"79. Il display segna 3'50"07, una riga su un record a lungo pensato irraggiungibile. Stavolta è China-Down. A Pechino, un mese dopo, l'arma della volata killer le porta l'oro iridato. L'ultimo 800 è coperto dalla Dibaba in 1'56"95. Sui 5000 è terza, non ne ha più, ma il piglio è da campionessa vera pur nella sconfitta. Ha lasciato il segno anche in inverno, il record del mondo indoor dei 5000 fissato a Stoccolma in 14'18"86.

La martellata sulla storia, Anitona Wlodarczyk la assesta in un piccolo meeting, il primo agosto, in prossimità della rassegna iridata. Da tempo nell'aria e nelle sue braccia, il primo over-80 metri della specialità frantuma il muro e anche il muro seguente, fissando la nuova frontiera a 81,08. Un mese e mezzo prima la Wlodarczyk era andata oltre il limite di 79,58, lanciando in una gara-esibizione lungo le rive del fiume Oder. Gabbia su una sponda, misurazione sull'altra: 79,83, ma i record ufficiali sono un'altra cosa. Nella finale di Pechino arriva dalle parti del record del mondo, 80,85 con un altro lancio a 80,27, massima cassa di risonanza per la scuola Made in Poland che ha già suonato l'inno nella gara maschile con l'occhialuto Fajdek. Anita torna campionessa mondiale dopo i titoli della Lysenko, ferma per maternità, al contrario di tante e tanti connazionali fermati per doping. Le inchieste sul finire dell'anno portano alla sospensione di un intero movimento, quello russo.

Che Christian Taylor abbia fatto sobbalzare Jonathan Edwards in tribuna a Pechino è noto. Vero anche che il margine lasciato dal triplista USA sull'asse di battuta della pedana iridata, all'ultimo salto a disposizione, avrebbe potuto colmare il gap di otto centimetri che ha permesso a Edwards di tenersi stretto il record del mondo stabilito venti anni prima con 18,29. L'annata del triplo maschile è stata straordinaria, vissuta sul dualismo Taylor-Pichardo: la prima gara della storia con due specialisti oltre i 18 metri (a Doha), un quasi-bis del doppio "18" a Losanna, Taylor 18,06 e la beffa centimetrica, 17,99, per Pichardo. I migliori tredici risultati dell'anno appartengono a loro, giovani e col futuro davanti. Lo statunitense ha 25 anni, il cubano 22.

Vero che il Kenya ha colto l'oro del successo globale con le lunghe leve di Asbel Kiprop, ma senza la spallata di Julius Yego, il trionfo si sarebbe ridotto a una occasione persa, alla luce degli sbandamenti pechinesi dello squadrone USA. Il giavellottista col fisico meno apollineo del lotto, sfiorato il podio nel 2013 a Mosca, si era presentato a Pechino forte della cocciutaggine che impose ai giudici di misurare il lancione di Birmingham, un 91,39 buono per l'omologazione dopo un nullo attribuito troppo frettolosamente. Yego esce dal Bird's Nest con la medaglia d'oro e con un 92,72 che fa la barba al 92,80 di Zelezny a Edmonton 2001, il lancio migliore del nuovo secolo. La finale, confermando la tendenza che la mappa del giavellotto non ha più confini, è di stampo panafricano, con l'argento a un egiziano. Julius è consapevole di essere una mosca bianca più che nera. Il suo oro, nel trionfo kenyano del medagliere, pesa tantissimo, tanto quanto la sua forza di volontà per fare del braccio, anziché delle gambe come un kenyano d'ordinanza, lo strumento del numero di magìa.

Tanto tuonò che fu un'alluvione. Dopo il secondo posto sui cento metri, l'exploit di Dafne Schippers sui 200 era atteso, ma non di una simile portata. Pechino, il mondiale delle imprese e dei risultati oltre le previsioni, lascia in dote anche la sontuosa finale dei 200 femminili, che la Schippers ha vinto con l'aggancio-sorpasso in extremis sulla giovane giamaicana Elaine Thompson. Il cronometro dice cose di un altro mondo e di un altro tempo: 21"63 per l'Euro-Record della Schippers e 21"66 per la sconfitta più incredibile di sempre a carico della caraibica. Il crono di Dafne traccia una riga sulla DDR che fu, il 21"71 della Koch e della Drechsler, a più riprese anche record del mondo. La finale di Pechino rimarrà negli annali come la migliore dello sprint femminile mai vista sulla doppia distanza in un contesto iridato.

Con undici medaglie d'oro e tredici totali ai campionati del mondo, Usain Bolt ha superato e staccato Carl Lewis. Detto questo, è stata una autentica, plebiscitaria e meravigliosa festa. Se la finale dei 100 è stata persa più dalle ansie di Justin Gatlin che vinta dal giamaicano, la finale dei 200 ha sublimato lo strapotere di Bolt, da Pechino 2008 a Pechino 2015 sempre e solo sul podio più alto. Il 19"55 ci riconsegna il Bolt del tempi belli. Col terzo oro in staffetta, mettendo nel paniere anche i successi alle Olimpiadi, mai men che la medaglia d'oro, Usain tocca i diciannove metalli, di cui diciassette d'oro. Rio chiama, per l'ultima Olimpiade di Usain, remo e corrente dell'atletica mondiale.

L'anno di Asbel Kiprop: è lui che consegna al suo Kenya lo storico primo posto nel medagliere, trionfando sui 1500 metri. E' sempre lui, gambe sterminate e lungo collo guerriero, a sfiorare l'impresa immortale a Monaco, nel Principato, nella decima tappa della IAAF Diamond League. Nella sera del record del mondo della Dibaba,  Kiprop fa tremare il primato maschile firmato a Roma, 17 anni prima, da Hicham El Guerrouj. Ancora una volta a Montecarlo si scrive il 1500 migliore dell'anno. Stavolta i brividi corrono lungo la schiena fino al traguardo, con quei 69 centesimi di troppo, 3'26"69. Chissà dove li avrà persi, in quella lunga regale volata. Kiprop è il primattore di una gara straordinaria, con sei atleti sotto i 3'30 e il quarto, Mo Farah, a dodici centesimi dal record europeo, in 3'28"93, da lui stesso firmato un anno prima. Sempre a Montecarlo, la casa delle meraviglie.

La miglior gara di tutta la stagione ha avuto un interprete superlativo, il sudafricano Wayde van Niekerk. Così come il triplo, anche i 400 uomini hanno avuto l'annus memorabilis. La finale arriva dopo lo sbigottimento di quanto visto nelle batterie mattutine, e delle altrettanto pirotecniche semifinali. Con le medaglie in palio, il sudafricano parte all'arrembaggio e vince la gara dell'anno in 43"48, a tre decimi dal record del mondo, prima di collassare, stremato. Mettono in salvo le medaglie i condottieri degli ultimi grandi podi, LaShawn Merritt, mai così veloce in 43"65, e Kirani James (43"78). Fuori podio, in 44"11, il dominicano Santos. Prima di questa gara, con 44"11 non si era arrivati mai neanche terzi, figuriamoci quarti. Van Niekerk detta la nuova orbita del giro di pista. Fosse partito meno da duecentista (vanta 19"94), chissà cosa avremmo visto sul display. Mai vista una rappresentazione così. Attori fantastici, pubblico che non crede ai suoi occhi, cifre pesanti come pietre.

Sull'asse Londra-Berlino l'asso pigliatutto è lui, Eliud Kipchoge, pistard convertitosi alla maratona, diventandone in pochi atti dominatore. Le sue vittorie di Londra e Berlino sanciscono il ruolo di numero uno mondiale, in un anno in cui i suoi connazionali hanno deluso nella maratona iridata, lasciando il passo alla giovane Eritrea, all'oro con un ragazzino. Kipchoge ha innescato la vittoria sul Tamigi in 2h04'42" contro i due ultimi primatisti mondiali, Wilson Kipsang e Dennis Kimetto, poi mesti interpreti a Pechino. A Berlino fa ancora meglio (2h04'00", miglior prestazione mondiale dell'anno e nona di sempre), ma non avvicina il mondiale di Kimetto, nel mirino, per via di un primo 15 km troppo audace. Vince l'altra top-marathon del 2015 col piglio del campione, dimostrandosi il più bravo maratoneta dell'anno.

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