Monaco-story: da Mennea a Euro 2002

13 Agosto 2022

Si torna in Baviera per gli Europei, a cinquant’anni dalle Olimpiadi segnate dall'attentato al Villaggio e onorate dei bronzi di Pietro e di Paola Pigni. Guida, Levorato e Alfridi le protagoniste di vent’anni fa

di Fausto Narducci

Monaco di Baviera è uno dei grandi crocevia dell’atletica italiana, oltre che della storia olimpica. Là dove i palestinesi nell’alba tragica del 5 settembre 1972 sferrarono l’attentato più sanguinario delle Olimpiadi, immortalato al cinema nel 2005 da Steven Spielberg nel Colossal Munich, non solo si è fatta la storia della convivenza fra i popoli ma anche quella dell’atletica. Non per niente alcune delle pagine più accurate che abbiamo letto sull’attentato palestinese nei confronti della squadra israeliana, che ebbe 17 vittime complessive non solo fra le due parti in conflitto, ce le ha regalate la nostra leggenda Pietro Mennea, che proprio a Monaco conquistò il primo bronzo della sua collezione di medaglie olimpiche (completate con l’oro individuale e il bronzo in staffetta a Mosca ’80). Tutti conosciamo la meticolosità con cui il barlettano si dedicava agli allenamenti ma rileggere a distanza di 50 anni il diario di quei giorni tragici (pubblicato postumo nel 2020 da Colonnese editore) ci dà la dimensione della sensibilità e dell’attenzione con cui quel ragazzo di soli 20 anni viveva ogni avvenimento.

A Monaco ’72 Mennea fu testimone diretto di alcune fasi dell’attentato del 5 settembre, quando entrarono in scena gli otto terroristi armati dell’organizzazione palestinese Settembre Nero. L’azzurro – che il giorno prima era stato bronzo nei 200 (un terzo posto in 20.30 dietro a Valery Borzov e Larry Black che archiviò sul diario come una “solenne delusione”) e il 10 settembre sarebbe poi stato finalista con la 4x100 – alloggiava con la squadra italiana quasi di fronte alla palazzina israeliana. Mentre si diffondevano notizie vaghe sull’accaduto, al risveglio del 5 settembre ebbe la freddezza di portare fuori dal Villaggio le auto dei tifosi barlettani che avevano parcheggiato all’interno su sua indicazione.

Poi, come sappiamo, gli eventi precipitarono. I terroristi avevano già giustiziato due ostaggi e ne uccisero altri nove prima che la polizia colpisse a morte cinque fedayn. Con l’aggiunta di un agente tedesco morto, il conto dell’attentato salì a 17 vittime, ma fermò i Giochi solo per un giorno proprio il 5 settembre. Il Cio si limitò a una cerimonia di commemorazione nello stadio alla presenza di 80.000 spettatori e 3000 atleti mentre il presidente Avery Brundage esaltava la forza del movimento olimpico senza fare riferimento alle vittime. Troppo poco per Mennea che in occasione dell’Olimpiade di Londra 2012, quando era già malato, si batté per indennizzare le vittime con una solenne commemorazione: ottenne solo una lettera di condivisione da parte del presidente del Cio Jacques Rogge e qualche iniziativa che non disturbò la serenità dell’evento londinese. Per la cronaca la seconda medaglia dell’atletica italiana a Monaco fu conquistata da un’atleta azzurra leggendaria che non c’è più, Paola Pigni, terza nei 1500.

Monaco 2002
L’atletica europea sarebbe tornata a Monaco per i campionati continentali 2002, l’anniversario dei trent’anni. E ripensando alle nostre uniche quattro medaglie ci balza subito agli occhi l’immagine di Maria Guida, la napoletana di Vico Equense che a 36 anni con un colpo di coda si mise alle spalle una carriera limitata dagli infortuni e, con la bandiera in pugno, conquistò davanti al festante popolo dei nostri immigrati il titolo di maratona che valeva una carriera. Un’immagine (quella sul traguardo) indimenticabile come quelle dei due bronzi (100 e 200) di Manuela Levorato, oggi mamma e commentatrice Rai, e di Erica Alfridi, terza nei 20 km di marcia dietro alle due russe Ivanova e Nikolayeva.

Spalato ‘90
Come ha detto il presidente Stefano Mei l’Italia punta a superare il bilancio record di Spalato ’90 quando conquistammo 5 ori, 2 argenti e 5 bronzi (nonché 5 quarti posti) arrivando quarti nel medagliere (stesso piazzamento nell’ancor più significativa classifica a punti) dietro a Germania Est, Gran Bretagna e Unione Sovietica. Un’edizione straordinaria quella disputata nella terra che si chiamava ancora Jugoslavia anche se i segnali dell’indipendenza della Croazia, proclamata l’anno dopo, si vedevano già. Dal 27 agosto al 2 settembre allo stadio di Poljud assistemmo a cose mai viste: Salvatore Antibo si dimostrò così superiore ai rivali da dominare i 10.000 e poi ripetersi sulla mezza distanza dopo una caduta iniziale; Francesco Panetta gettò il cuore oltre le siepi in quel celebre rettilineo finale con alle spalle l’inglese Mark Rowland e il sodale Alessandro Lambruschini; il campione di Seul Gelindo Bordin impose la sua legge in volata a Gianni Poli, vincitore di New York ’86; la compianta Anna Rita Sidoti beffò nei 10 km di marcia Ileana Salvador che puntava a più del bronzo. Ma di quell’edizione memorabile rimangono tante altre cose. Come dimenticare Genny Di Napoli che con l’argento dei 1500 ottenne il massimo traguardo della carriera all’aperto dopo una rocambolesca qualificazione e la resa negli ultimi 200 metri di una gara perfetta al tedesco est Jans-Peter Herold. E come non ricordare le altre tre medaglie di bronzo: l’immancabile Stefano Mei (oggi presidente Fidal) nei 10.000, la commovente Roberta Brunet nei 3000 e l’incredibile terzo posto di una staffetta veloce maschile (Longo, Madonia, Floris e Tilli) su cui non avrebbe scommesso nessuno. Una delle squadre azzurre più belle e unite di sempre.

Berlino 2018
L’ultimo precedente azzurro agli Europei risale a uno stadio olimpico tedesco, l’Olympiastadion di Berlino. Statisticamente un punto di ripartenza perché con 4 bronzi individuali l’Italia fece meglio solo di Stoccolma 1958 dove eravamo rimasti con il solo argento di Abdon Pamich nella 50 km di marcia. Il medagliere della federazione europea ci assegnò però anche l’oro e l’argento delle due maratone a squadre, e in questo caso con un oro e sei medaglie complessive il bilancio tedesco era diventato dignitoso. A portarci i podi individuali furono Yeman Crippa (10.000), Yohanes Chiappinelli (3000 siepi), Yassine Rachik (maratona) e la solita Antonella Palmisano nella 20 km di marcia ma resta l’amaro in bocca per la squalifica della 4x100 maschile (cambio irregolare) dopo il quinto posto individuale di Tortu nei 100 in 10.08 e per il podio della 4x400 donne svanito nell’ultima frazione della Grenot. E chi troviamo al quarto posto? Oltre a Crippa nei 5000, ci sono Tamberi (alto) e Stano (marcia 20 km) cioè due degli eroi di Tokyo di tre anni dopo. Proprio un punto di ripartenza.

Statistiche
Il bilancio complessivo dell’Italia agli Europei ci vede all’ottavo posto del medagliere complessivo con 42 ori, 43 argenti e 47 bronzi (132 medaglie totali). L’edizione inaugurale di Torino 1934 ci portò subito l’oro del leggendario Luigi Beccali nei 1500 oltre a due argenti e due bronzi. Nell’edizione 1938, sdoppiata fra Parigi (uomini) e Vienna (donne) arrivò subito il primo oro femminile con Claudia Testoni negli 80hs e da allora l’Italia ha fallito l’appuntamento con l’oro solo a Stoccolma 1958 che resta il punto più basso del nostro medagliere. La doppietta di Pietro Mennea (100 e 200) a Praga ’78 e quella di Salvatore Antibo (5000 e 10.000) a Spalato ’90 restano impresse nella storia. Statisticamente vanno segnalate anche due triplette azzurre: Mei, Cova e Antibo nei 10.000 a Stoccarda ’86 e Baldini, Goffi e Modica a Budapest ’98. I plurivincitori azzurri sono Pietro Mennea e Adolfo Consolini (3 titoli) in campo maschile e Anna Rita Sidoti e Libania Grenot (due). Mennea è anche il solo azzurro ad aver vinto tre medaglie in una singola edizione della rassegna (l’oro nei 200 e due argenti in staffetta a Roma ’74) e anche l’unico con due ori (Praga ’78). In casa azzurra un oro e un argento a livello individuale sono stati conquistati solo da Venanzio Ortis (Praga ’78) e Stefano Mei (Stoccarda ’86) a parti invertite nei 5000 e 10.000. Il record di partecipazioni appartiene invece a Pamich, Consolini e Donato (6). La maratona maschile è la specialità in cui abbiamo vinto di più, ben 5 volte, con Bordin (2), Baldini (2) e Meucci (1).

Roma 2024
L’onda lunga di Tokyo, frenata ai Mondiali di Eugene solo da una catena di infortuni, ci spingerà anche a Monaco dove la nostra pattuglia di un centinaio di elementi (facendo i conti con le defezioni) ha concrete carte da medaglia. Il miglior viatico per gli Europei di Roma 2024 dove il bilancio dell’edizione ’74 (un oro, due argenti e due bronzi) – con due leggende come Pietro Mennea e Sara Simeoni sul podio – non potrà che essere un punto di partenza.

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Manuela Levorato (foto Colombo/FIDAL)


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