Maratona, Faniel e quei record da leggenda

23 Febbraio 2020

Da Ambu a Poli, da Bordin a Leone, fino a Stefano Baldini e all'azzurro delle Fiamme Oro: il libro dei 42,195 km d'Italia si arricchisce di una nuova prestigiosa pagina

di Giorgio Cimbrico

Andare a tuffarsi nella cronologia del record italiano è sfogliare un atlante, è intraprendere un lungo giro del mondo su tutti tipi di asfalto, di percorso, di clima, di durezze, di scorrevolezze. Cinquantatré anni fa Antonio Ambu entrò fragorosamente sotto le 2h20 – per un paio di minuti - andando a sfidare la collina spezzacuore di Boston. La capitale del Massachusetts tornerà più tardi con la doppia vittoria di Gelindo Bordin: la seconda portò il record italiano a 2h08:19 e soprattutto si trasformò in premiere di un campione olimpico in carica nella veterana delle prove.

In un ormai lontano periodo storico la Mecca della maratona era diventata il Giappone e in particolare la filante Fukuoka, paradiso per gli specialisti australiani, prima Derek Clayton, poi Rob de Castella. Nel ’75 Pippo Cindolo intraprese il lungo viaggio: ne uscì con il suo vecchio record demolito di 4 secondi, sino un 2h11:45 che odora ancora di moderno. Sei anni dopo, ancora nell’isola sud dell’arcipelago giapponese, l’elegante bresciano Gianni Poli estirpò venti secondi abbondanti. Fu il primo dei tre record di Gianni: gli altri vennero ai Mondiali di Helsinki e a Chicago, primo tempo di un azzurro sotto la barriera delle 2h10. Per tre secondi. L’ultimo dei “giapponesi” è Giacomo Leone, brindisino di Francavilla Fontana e detentore di una corona newyorkese, l’ultima indossata da un europeo. A Otsu, in 2h07:52, Giacomo strappò il limite a Stefano Baldini che a Londra nel ’97, ancora per tre secondi, aveva infranto un’altra barriera, quella delle 2h08.

Sulle 26 miglia e 365 yards da Greenwich a Buckingham Palace, Baldini avrebbe lasciato altre due importanti tracce, prima e dopo il trionfo ateniese, con 2h07:29 e poi, nel 2006, con 2h07:22. La regola del tre ha funzionato anche oggi: tanto è il progresso scandito da Eyob Faniel nella sua corrida sivigliana interpretata con volontà e coraggio, specie in una seconda parte recitata da cacciatore. Il destino scritto nel luogo natale: Faniel è nato a Asmara, 2325 metri sul livello del mare, almeno trecento in più dell’altopiano affacciato sulla Rift Valley, la miniera che ha dato legioni di campioni, oggi sintetizzabili in Eliud Kipchoge, maestro ed esploratore del possibile.

SEGUICI SU: Instagram @atleticaitaliana | Twitter @atleticaitalia | Facebook www.facebook.com/fidal.it



Condividi con
Seguici su:

Pagine correlate