La lettera Q nell'atletica

08 Maggio 2018

Dopo l’apertura della Diamond League a Doha, capitale del Qatar, ecco un viaggio nel tempo tra gli atleti con la stessa iniziale e una panoramica sui campioni dell’emirato arabo

di Giorgio Cimbrico

Nello sconfinato alfabeto dell’atletica, la lettera Q non ha mai avuto molto spazio. Giusto cinquant’anni fa riuscì a conquistarne qualche palmo grazie a Larry Questad, velocista di pelle bianca che partecipò alla saga di Sacramento, 10.0 nella prima semifinale - quella del doppio 9.9 di Jim Hines e Ronnie Ray Smith -, finì terzo, in 20.1, nei memorabili 200 di Echo Summit alle spalle di John Carlos e di Tommie Smith e, conquistato un posto in squadra, riuscì a trovarne uno anche nell’indimenticabile finale messicana finendo sesto in 20.6. Questad, nativo di Livingston, Montana, vive nell’Idaho e viaggia verso i 75 anni.

Di anni ne ha compiuti 70, il giorno di Capodanno, Dick Quax: l’All Black nato ad Alkmaar, Olanda, primatista del mondo dei 5000 dal 5 luglio 1977 all’8 aprile 1978 quando il suo millimetrico progresso sul limite di Emil Puttemans (13:12.87 contro 13:13.0) venne spazzato dalla prima cresta dell’onda su cui cavalcava Henry Rono. Il baffuto Dick rimane anche uno dei protagonisti della magnifica volata dei 5000 olimpici di Montreal: Lasse Viren la spuntò per 40 cents e il kiwi si assicurò l’argento per 22 su Klaus-Peter Hildenbrand, 34 sull’altro neozelandese Rod Dixon e un secondo e tre centesimi sul britannico Brendan Foster.

La documentazione filmica e geografica su quell’ultimo rettilineo merita periodiche visite.

Altri Q da citare: Pierre Quinon, che mise le mani sul record del mondo dell’asta (5,82) e sull’oro olimpico di Los Angeles prima che la depressione lo catturasse per farlo volare verso il basso, e il triplista cubano Yoelbi Quesada che rimbalzò a 17,85 al momento opportuno, i salti decisivi ai Mondiali di Atene ’97.

Ora, con il Qatar di mezzo, la lettera sta definitivamente abbandonando il suo ridotto territorio: ai Mondiali, in calendario ad inizio autunno per motivi climatici, l’emirato può puntare in alto con la sua piccola costellazione di stelle e punta a una collezione preziosa quanto quella formata dalla famiglia reale che ha investito mezzo miliardo di euro per I Giocatori di Carte di Paul Cézanne e le due ragazze polinesiane di Paul Gauguin.

Di Mutaz Essa Barshim, il frequentatore più assiduo e regolare ai 2,40 dopo Javier Sotomayor, inutile ripercorrere ancora una volta vita e parabole. Al fuscello qatarino o qatariano per metà (papà è di Doha, la mamma è sudanese) si è unito, con solidissime chances di zone molto alte, Abderrahman Samba, classe ’94, settimo ai Mondiali di Londra. Il 47.57 nell’entusiasmante serata di apertura della Diamond League ha cancellato stagioni in cui i 400hs hanno languito ed è la seconda registrata nell’ultimo decennio. Samba è nato in Arabia Saudita, come il primatista asiatico Hadi Soua’an Al Somaily, ma i genitori vengono da molto più lontano: Mauritania.

Nella “all time” Samba, che corre sotto la bandiera bianca e amaranto, si è inserito alle spalle di un atleta originario di una città che ama quel colore: il livornese Fabrizio Mori, 47.54 a Edmonton quando, per la miseria di cinque centesimi, non centrò il bis di Siviglia ’99, piegato da Felix Sanchez per quella che in linguaggio ippico si chiama corta incollatura.

Sudanese purosangue e importato nel paese del Golfo Persico è Abdalleleh Haroun, 21 anni appena compiuti, in possesso di uno straordinario 44.27 a 18 anni, campione mondiale under 20, terzo ai Mondiali di Londra e nel primo vertice di stagione battuto ma non travolto (44.50) dall’affusolato bahamense Steven Gardiner che in un gioco di corsi e ricorsi sempre piacevole da praticare, ha eguagliato in 43.87 il tempo che trent’anni fa a Seul diede a Steve Lewis detto “piedone” il titolo olimpico alla tenera età di 19 anni.

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Mutaz Barshim (foto Sjogren/IAAF Diamond League)


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