L'Olimpo dell'atletica

20 Novembre 2014

Un giocoso accostamento tra i big dell'atletica e le antiche divinità

di Giorgio Cimbrico

Più che premere su tasti, sarebbe bello saper impugnare con bravura una matita, un carboncino, un pennello o esser capaci a mettere assieme quelli che una volta si chiamavano fotomontaggi. L’obiettivo è offrire l’Olimpiade, non nel senso di gare antiche o moderne, ma una galleria di volti, di corpi, di atteggiamenti, di espressioni, un cocktail sospeso tra mito sognante e realtà corrente. Olimpiade, pardon, è proprio una parola sbagliata: Olimpo e verdi balze a esso sottostanti è meglio. Chi ci abita? Dei, semidei, centauri, ninfe, eroi, muse. Tutti ad oziare, chiacchierare sulla sponda di deliziosi laghetti, amoreggiare, ubriacarsi di ambrosia, ogni tanto scuotersi e dare dimostrazione di forza, potenza, abilità. Senza 740 da compilare o partita Iva da onorare. Beati loro. Pizzicando la lira non resta che cominciare.

Talia. Musa della letteratura e conservatrice della felicità, rappresentata con un bastone tra le mani. Allunghiamo lo strumento per assegnare il ruolo a Yelena Isinbaeva che ha contribuito spesso a farci felici e a provocare la creazione di tonnellate di righe. Sempre lietamente.

Diana. Spesso scolpita con arco e faretra, in procinto di dedicarsi alla sua attività preferita, la caccia. Cambiamole l’arma, dotiamola di una lancia ed ecco Barbora Spotakova, sempre in cerca di prede.

Giunone. Anita Wlodarczyk può reggere egregiamente la parte. Perchè è, perdonate la banalità, giunonica e perché, a martellate, è avviata a raggiungere la Via Lattea, creata proprio dalla moglie del Capo, mister Jupiter.

Dafne. Correva forte per evitare le pressanti attenzioni di Apollo, sino a trasformarsi in lauro. Anche Schippers corre piuttosto forte e si copre di allori, ma a parte il nome e lo spunto veloce, poco da spartire con la ninfa fuggitiva. Michelangiolesca, piuttosto.

Centauro. Fossimo ancora all’inizio degli anni Novanta, non ci sarebbe un dubbio: Quincy Watts, eroe di Barcellona, come diceva un vecchio spot. Nel cast messo assieme ai nostri giorni, il mezzo uomo e mezzo cavallo è LaShawn Merritt.

Mercurio. Mettetegli un caschetto, dotatelo di alette ai piedi, piazzategli in mano un caduceo ed ecco Renaud Lavillenie trasformato nel più sbarazzino degli dei e protettore di un sacco di categorie, dai viaggiatori ai furfanti.

Atalanta. Amava sfidare gli uomini alla corsa prolungata e lasciarseli con facilità alle spalle: c’è qualcuna che possa esser più adatta di Paula Radcliffe?

Orfeo. Volodja Yashenko riusciva ad ammansire le fiere con la sua melodia aerea ma, a differenza dell’antico eroe, non è riuscito a tornare dal mondo delle ombre.

Bacco. Per quel vecchio episodio che lui non ama ricordare e che la rete ha offerto in molte salse, la parte spetta a Ivan Ukhov che pure non proviene da montagne (gli Urali) dove la vite possa attecchire.

Apollo. Per nitore, intelligenza, offerta di bellezza assoluta, Jonathan Edwards e il suo capolavoro: i tre passi divini, regalati in una giornata così luminosa e perfetta da etichettare con l’aggettivo più scontato. Apollinea.

Venere. Sarebbe il caso di mollare per un attimo l’atletica e aspettare Charlize Theron in arrivo su una conchiglia gigante, spinta da Zefiro e altre brezze compiacenti. Ma non vogliamo uscire da pista e pedane e ripieghiamo su Emma Green. Per favore, si legge come si scrive, non Grin.

Giove. Accende lampi e scaglia fulmini. Tocca a Usain Bolt, inevitabilmente, sedere sul trono del monte sacro e dilettarsi delle povere vicende di noi umani.

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