Il martello di Sigfrido

14 Aprile 2015

La storia del lanciatore tedesco Uwe Beyer, medaglia olimpica a Tokyo nel martello, apparso anche al cinema nel kolossal “I Nibelunghi”

di Giorgio Cimbrico

Con qualche accordo wagneriano di fondo, va celebrata la morte di Sigfrido, che non veniva dalle foreste lungo il Reno, ma da una cittadina nella Germania del Nord, Timmendorf, nei pressi del canale di Kiel: vento, dune e grida di uccelli marini. 

14 aprile 1945 il giorno della nascita, 15 aprile 1993 il momento della prematura morte di Uwe Beyer che era alto, biondo, bello. Quando sul finire degli anni Sessanta Harald Reini decise di girare il kolossal “I Nibelunghi”, la scelta per impersonare il figlio di Sigmundr e di Hjordis, l’eroe ucciso a tradimento da Hagen (come Achille, anche lui aveva un punto debole), non poteva che cadere su questo giovanotto che pareva una statua, per precocità un Mozart del lancio del martello.
In una specialità che ha sempre concesso spazi e opportunità ai veterani, Uwe rappresentò la sferzata di novità. Non stringeva la spada che la leggenda narra sia andata perduta ma una maniglia con un filo e una boccia di sette chili abbondanti. L’arma di Thor? Una specie.

A 19 anni Uwe-Sigfried sale sul podio olimpico di Tokyo, alle spalle – ma non lontano – da due campioni di consolidata milizia, il bielorusso Romuald Klim (architrave tecnico del lancio moderno) e l’ungherese Gyula Zsivotzky, che si sarebbero scambiati il posto quattro anni dopo a Mexico City.

Uwe sta imboccando la sua strada: terzo a Budapest ‘66 (ancora dietro ai soliti noti), eurocampione a Helsinki ‘71 davanti a Reinhard Theimer, fratello dell’est, e a Anatoli Bondarchuk, l’ucraino padrone del record del mondo con 75,48. Uwe ci era andato maledettamente vicino con 74,90. La Germania Ovest si sarebbe impadronita del limite di lì a poco, quando, il 4 settembre 1971, a Lahr, in una gara “fredda”, senza avversari di alcun spessore se non una comparsa, Walter Schmidt avrebbe scagliato a 76,40.

Finito ai piedi del podio nei Giochi casalinghi di Monaco di Baviera, Uwe uscì progressivamente di scena per tornarci brevemente nel suo giorno fatale quando la lancia di Hagen prese la sembianze di un attacco cardiaco mentre giocava a tennis a Belek, sulla costa turca. Ad amici aveva confidato che nei suoi anni di tuono aveva fatto ricorso non ad un elmo magico ma a pastiglie che garantivano la forza, non l’immortalità.



Condividi con
Seguici su: