I campioni dalla triplice corona

05 Agosto 2014

Alberto Cova nei 10.000 come Daley Thompson nel decathlon: oro olimpico, mondiale ed europeo

di Giorgio Cimbrico

Per tre giorni di margine il primato della triplice corona ben piantata in testa spetta e spetterà per sempre a Alberto Cova che il 6 agosto di trent’anni fa, al Coliseum di Los Angeles, non fece fatica a domare Martti Vainio, il fenicottero che aveva beccato il mangime proibito: di lì a poco il finlandese venne cancellato dall’ordine d’arrivo per positività a uno steroide. Il 9 agosto Francis Morgan “Daley” Thompson respinse l’assalto di Jurgen Hingsen, conservò il titolo olimpico del decathlon ed ebbe a sua volta diritto al triregno, ma con una settantina d’ore di ritardo sul killer di Inverigo. Sia Alberto che Daley portavano i baffi.

Triplice corona è un termine mutuato dal rugby e indica un trofeo che non esiste e proprio per questo è molto ambito. Nel Championship di rugby (con l’ingresso della Francia prima, dell’Italia poi, etichettato Cinque e Sei Nazioni) spetta alla britannica – irlanda compresa – che batta le altre tre. Ricorrendo ad altri oggetti regali, è consentito parlare anche di scettro o di globo da stringere in pugno, ma la corona fa più effetto.

Alberto aveva messo le mani sulla prima (o il primo) agli Europei di Atene ’82, in fondo a una volata che lo aveva visto piegare il granatiere tedesco est Werner Schildhauer, uno che nel finale non scherzava, e Vainio. Inutile dire che sorprese ed entusiasmò, nulla al confronto di quel che scatenò un anno dopo a Helsinki per un lungo momento che richiama una magnifica definizione di Giampaolo Ormezzano in occasione della vittoria di Felice Gimondi al mondiale: un capolavoro di alpinismo in piano. L’ultimo giro fu un crescendo che prese alla gola, come in una sonata di Prokofev, e il rettilineo finale una faccenda che avrebbe scosso anche chi avesse scelto come residenza un blocco di ghiaccio dell’Antartide. Tutto è riassunto nel “Cova, Cova, Cova, Cova” di Paolo Rosi.

(Apriamo una parentesi – fatto – e approfittiamo di questa rievocazione per dire due parole su chi, in occasione del 90° compleanno di Paolo, ha scritto che era un incompetente, che si addormentava. A chi dice queste cose, ovviamente, non sarebbe il caso di replicare, né di esprimere giudizi, nè di usare aggettivi sdegnati che farebbero ingrassare l’estensore di quelle note. La realtà è che ha ragione quel lui di cui non sappiamo neanche il nome. Siamo tutti incompetenti, cresciuti, allevati, in alcuni casi scomparsi, in una dimensione di calore, non di questa freddezza computerizzata, di questo cinismo algido, di questa fitta rete di malignità. Ha ragione lui e soprattutto è distante, per fortuna. Chiusa la parentesi. Fatto)

Visto che la terza corona consecutiva venne conquistata e lucidata senza particolari patemi e senza che il nostro Albertino dovesse snudare la sua lucida arma, è il caso di dedicare qualche riga all’altro baffuto. Daley era irriverente e simpatico e una raccolta di aneddoti riempirebbero, come dice Leporello, un non picciol libro. Sapeva anche quando era il caso di usare gli artigli. Capitò proprio nel decathlon di Los Angeles, alla settima prova, quando, dopo due prove balbettanti, si trovava a un abisso da Hingsen, con le spalle al muro e con forti ciance di sorpasso da parte del tedesco che toccava i 2,00 e il quintale. Il disco non era una specialità di parata del londinese e così il suo 46,56 non può che finire nella categoria del mirabile. “Non so perché Hingsen, che è un uomo bellissimo, si ostini a perdere contro un bassino come me”, fu la morale che offrì a voce. Alla stoffa – una tshirt – affidò un messaggio rivolto ai network americani: “Grazie Usa, ma cosa dire della copertura tv?”.

Volendo evitare precisazioni che finiremmo per avvertire come seccanti, abbiamo ben presente che in realtà Thompson di corone ne portò contemporaneamente quattro, avendo dominato nell’82 il decathlon dei Giochi del Commonwealth, una rassegna che, come è noto, non è aperta ad atleti di molti paesi, a cominciare da quelli nati in Brianza. Di esser triple regine avevano forti possibilità Marlies Gohr e Marita Koch, ma la Ddr non decollò verso la California e in pista ci andò maledettamente vicino Steve Cram, piegato da Sebastian Coe che, dopo l’arrivo, così apostrofò gli inviati britannici: “Chi ha detto che sono finito?”.

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Daley Thompson (archivio FIDAL)



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