I 24 record del 1965

20 Gennaio 2015

Una stagione da guinness: dal 16 gennaio al 30 novembre di 50 anni fa stabiliti tanti primati mondiali, dai 1000 metri alla maratona

di Giorgio Cimbrico

Se davvero esistono anni che rappresentano spartiacque della storia – 1492, 1789, 1945 sono gli esempi più scontati che affiorano - non c’è dubbio che, per la grande famiglia delle corse di media e lunga lena, l’etichetta spetti al 1965, la stagione che, giusto mezzo secolo fa, cancellò il passato e inventò il futuro, spedì sulla scena da prim’attori campioni di Oceania, Europa, Africa, Asia e America, fornì una formidabile abbondanza di materiale statistico ed emozionale: dal 16 gennaio al 30 novembre, 24 record mondiali nelle distanze che vanno dai 1000 metri alla maratona, siepi comprese, attraverso anche distanze imperiali (le due, tre e sei miglia) ormai cadute in disuso. Il miglio, per fortuna, tiene ancora.

Non sussiste neppure dubbio che la corona di sovrano dell’anno sia finita sulla testa di Ron Clarke che scese in pista in tre continenti e in 46 occasioni, firmando 11 record del mondo, con la “perla nera” del 27’39”4 offerto al pubblico di intenditori del Bislett di Oslo: uno strabiliante progresso di 35” sul suo record ufficioso e di 36” su quello ufficiale.

L’uomo di Melbourne è passato alla storia come l’eterno sconfitto quando le braci dell’agonismo si arroventavano, ma il suo apporto nella spinta in avanti dei limiti umani deve essere considerato assoluto, e così degno di un’ammirazione senza confini.

Proprio Clarke inaugurò l’anno mirabile con il 13’34”8 di Hobart, Tasmania, apportando un ritocco di due decimi sul limite del Vladimir Kuts annata ’57, in formato romano. Il record ebbe vita breve, due settimane, e a sua volta il 13’33”6 di Auckland non giunse a festeggiare i quattro mesi: all’esordio di giugno, a Los Angeles, Ron infranse per primo i tredici minuti e mezzo chiudendo in 13’25”8 e lasciando a mezzo minuto abbondante il neozelandese Neville Scott. Era pronto per la campagna del Nord che lo avrebbe portato al 28’14” di Turku (mai omologato: non era arrivato il permesso di gareggiare) e soprattutto al 27’39”4 del Bislett, in fondo a una sublime prova in solitario, unico avversario il cronometro. Il secondo chiuse a quasi due minuti.

La vitalità dell’Europa si espresse soprattutto nelle distanze più brevi. Riuscito a superare la terribile delusione di Tokyo (da primo a quarto nell’arco breve della curva e del rettilineo finali dei 5000), Michel Jazy si impadronì, uno sparo nel buio, del record del miglio, strappando con 3’53”6 il record a Peter Snell, approfittando del ritmo assicuratogli da Jean Wadoux.

Non è il caso di sottolineare che ricevette i complimenti di Charles de Gaulle che lo annoverava tra i figli prediletti. In diciassette giorni, dal 6 al 23 giugno, Jazy, che a Roma ’60, 24enne, era stato secondo nei 1500 alle spalle del divino Herb Elliott, scrisse un’epopea: a Lorient il record europeo dei 5000 portato a 13’34”4; a Rennes il mondiale del miglio; a Parigi-Charlety 13’29” ancora limite continentale e seconda prestazione mondiale di tutti i tempi; a Melun, il record mondiale delle due miglia (8’22”6) e di passaggio dei 3000 (7’49”), staccando di due secondi Clarke, sempre poco a proprio agio nei faccia a faccia ma terribile sul passo: a fine ottobre, a Geelong, non lontano dalla natia Melbourne, avrebbe corso 20232 metri nell’ora.

Il record dei 3000 cadde dopo poco più di quaranta giorni, portato a 7'46” dal Ddr Siegfrid Hermann sulla pista di Erfurt, la stessa che a luglio aveva visto Juergen May centrare l’obiettivo: 2’16”2 sui 1000. Ma già tre settimane dopo, a Helsingborg, Kip Keino avrebbe assestato una terribile mazzata: 7’39”6. Era l’annuncio di quanto il King del Kenya avrebbe concesso a fine novembre al pubblico di Auckland: per spazzare quel 13’24”2, nell’estate dell’anno dopo, Clarke sarebbe stato costretto a un’altra ricerca dell’assoluto: 13’16”6.

La boa di metà anno segnò un altro momento storico: nella classica maratona dei Polytechnic Harriers, da Windsor a Chiswick, il giapponese Morio Shigematsu lasciò alle spalle le 26 miglia in 2 ore e 12’ spaccati, 11 secondi e due decimi al di sotto del tempo vincente di Abebe Bikila a Tokyo, sino a quel momento il più veloce registrato su un percorso dotato di tutti i crismi della regolarità.

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