Giomi: ''Insieme ai nostri atleti''

03 Dicembre 2015

"Nessun atleta dell'atletica italiana è stato trovato positivo ad un controllo antidoping: di cosa parliamo?". Queste le parole con cui il presidente FIDAL Alfio Giomi ha aperto la conferenza stampa convocata oggi a Roma a seguito delle risultanze del lavoro della Procura Antidoping NADO Italia sul caso degli atleti coinvolti nell'inchiesta "Olimpia". "L'immagine di un'atletica italiana travolta dal doping è inaccettabile. Noi non siamo questo. Questa Federazione, di cui sono presidente dal 2 dicembre 2012, è in prima linea nella lotta al doping. Pensate alla carta etica che dal 2013 devono sottoscrivere tutti gli atleti che vestono la maglia azzurra; pensate alla norma che abbiamo varato per escludere da qualsiasi supporto federale un atleta al secondo controllo mancato. Stiamo, inoltre, promovuendo un apposito progetto nazionale per sensibilizzare i giovani su questa importante tematica".  

"Non ero io alla guida della Federazione nel periodo (2011-2012, ndr) a cui si riferiscono i fatti - aggiunge il presidente della Federatletica -, ma ho ribadito più volte che ci fosse un sistema che non funzionava. Non ci sto che gli atleti siano vittime di tutto quello che si è scatenato. Ora è importante che la giustizia sportiva faccia il suo corso. La Federazione, da parte sua, metterà a disposizione degli atleti deferiti la consulenza legale dell'avvocato Guido Valori. Tutti gli azzurri coinvolti per noi restano nella nostra "Road to Rio 2016" perchè non ci sfiora nemmeno l'idea che possano essere condannati. Ho avuto modo di sentirli in queste ore e porto dentro di me la rabbia di ciascuno di loro. L'atletica italiana è insieme ai suoi atleti ai quali non verrà mai resa giustizia perché fra due mesi quando verranno assolti sui media ci sarà forse un decimo dello spazio di oggi".  

Il presidente Giomi legge anche alcuni passaggi del messaggio diffuso dalla martellista Silvia Salis, ma tra i presenti a raccontare la sua esperienza c'è il bronzo olimpico Fabrizio Donato. “Mi trovo dentro a un ciclone, in un mondo che mi è estraneo - dichiara il triplista azzurro -. Ora però chiedo rispetto. E sento di poter parlare anche per i miei compagni di squadra. Nessuno di noi è stato trovato positivo. Nessuno ha eluso i controlli”. Si dice triste e sconfortato: “Quando fui convocato in Procura mi presentai sereno, anzi felice di avere l’opportunità di chiarire la situazione. Tanto che andai accompagnato da mia moglie Patrizia, che all’epoca era incinta di sei mesi, e senza avvocato. Andai fiducioso, sicuro della buona fede di chi avevo di fronte. Vorrei continuare ad avere fiducia nella giustizia”.

“Nella mia vita, non solo nella mia carriera - sottolinea Donato - ho sempre seguito la strada dell’onestà. Questa mattina, quando ho saputo di questo incontro con la stampa, ero al campo, ad allenarmi, come ogni giorno da 20 anni. A prepararmi per realizzare il sogno della mia quinta Olimpiade. La mia vita si svolge tra casa, campo e la scuola delle mie figlie, da dieci anni non vado nemmeno in vacanza. Io sono qui e ci metto la faccia, di nuovo. Ma quando parlate di noi, ricordatevi sempre che siamo atleti, ma anche uomini e padri di famiglia”.

LO SFOGO DI DANIELE GRECO - Un altro big azzurro del triplo Daniele Greco, quarto ai Giochi Olimpici di Londra 2012 e campione europeo indoor 2013, fa sentire la sua voce attraverso un comunicato stampa: "Sinceramente non avrei mai pensato di vedere associato il mio nome alla Parola DOPING. Eppure mi ritrovo a farlo nonostante nella mia vita l’idea di dover rubare, barare, non mi ha mai sfiorato. Mi è stato chiesto a distanza di 3 anni di dimostrare che avevo sempre comunicato puntualmente la mia reperibilità. Le norme invece prevedono e prevedevano che se non l’avessi comunicata doveva partire subito una contestazione formale (in 14 giorni), cosa che non è mai avvenuta. Invece no, vengono fatti passare 3 anni e mi si chiede di dimostrare cosa avevo fatto 3 anni fa. Nessuno però dice che viene leso il mio sacrosanto diritto al rispetto della procedura. Perché una cosa è richiedere entro 14 giorni la prova dell’invio della reperibilità e un’altra è farlo dopo 3 anni, quando l’invio della reperibilità è stato fatto spesso di persona presso la Fidal o tramite fax che non ho più e non avevo ragione di tenere (passati 14 giorni non vi è più contestazione ammissibile). Nonostante ciò riesco a dimostrare che nel periodo in cui non sarei stato reperibile ho fatto un controllo antidoping (strano no?) e che per altri due periodi avevo invece la comunicazione. Ma ciò che più dispiace della vicenda non è tanto l’inchiesta ed il procedimento, dove l’accusa rappresenta la sua idea, la sua ricostruzione dei fatti, ma il fatto che questa venga usata come una sentenza per massacrare mediaticamente noi atleti".  SEGUE A QUESTO LINK.

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