Europei, pagine scelte in musica

04 Luglio 2016

A due giorni dall’inizio di Amsterdam 2016, abbiamo immaginato la colonna sonora per alcuni dei momenti più significativi nelle precedenti edizioni della rassegna continentale

di Giorgio Cimbrico

Se l’atletica è musica, gli Europei sono una biblioteca di spartiti, un esercito di esecutori, una collezione di armonie, di pagine appassionanti che è magnifico scorrere, riascoltare.

Praga 1978 - Il duello Sara Simeoni-Rosemarie Ackermann come il duetto tra Fiordiligi e Dorabella nella mozartiana “Così fan tutte”. Quel vento così soave spinse Sara ancora al record del mondo senza che venissero suscitate asprezze. Una sfida di dame, sulla collina di Strahov.

Stoccarda 1986 - Un trio di Haydn per violino (Stefano Mei), violoncello (Alberto Cova) e viola (Salvatore Antibo) con “allegro” finale che diventa cascata di sentimenti contrastanti, rapidi a virare in gioia diffusa.

Spalato 1990 - Gli echi balcanici di Goran Bregovic, selvaggi, dissonanti, venati di malinconia, nella corsa generosa e istintiva di Totò Antibo che sceglie un paese sull’orlo della guerra e della dissoluzione per le pagine più belle di una vita al galoppo.

Belgrado 1962 - Un canone di Bach, affidato alle mani e alla tastiera di Glenn Gould, per ricordare e provare a descrivere la perfezione della rincorsa, dello stacco, dello scavalcamento di Valeri Brumel, l’uomo che venne costretto ad accettare la realtà crudele degli anni spezzati.

Torino 1934 - Una vezzosa canzonetta del Trio Lescano per la vittoria di Luigi Beccali: nello stadio intitolato al Capoccione, Ninì diventa il primo della storia a riunire la corona europea con quella olimpica, conquistata due anni prima al Coliseum di Los Angeles.

Helsinki 1971 - Il Mendelssohn delle grotte di Fingal: ne esce una specie di barbuto elfo dagli occhi come il ghiaccio. Nessuno conosce chi assesta una sterzata secchissima alle trame delle gare lunghe, spesso regno della noia. E’ Juha Vaatainen.

Stoccarda 1986 - Come Alberich, nell’Oro del Reno di Wagner, Yuri Sedykh forgia martellando l’anello che diventa simbolo del potere. Dopo trent’anni, quell’86,74, venuto sulle sponde di un altro fiume tedesco, il Neckar, è ancora imbattuto.

Goteborg 2006 - Quella rincorsa è un rullo in crescendo, l’apparire della misura è il tinnire dei piatti: il batterista Andrew Howe è campione d’Europa e almeno per quel biennio felice nessuna parca ha reciso il filo della sua sorte.

Budapest 1998 - Il concerto per orchestra di Bela Bartok per l’occupazione azzurra del podio della maratona: Stefano Baldini, Danilo Goffi e Vincenzo Modica sono i solisti e, al tempo stesso, i membri di un “ensemble” perfetto.

Roma 1974 - Il tono sottile, drammatico del Prokofev di “Aleksandr Nievski” prima dell’esplosione trionfale. Non c’è di meglio per descrivere i dubbi che lo attanagliano e la capacità quasi ferina di liberarsene: per Pietro Mennea il primo titolo che lascia il segno.

Atene 1982 - Non c’è mai dramma nei trionfi di Francis Morgan Thompson, per tutti Daley. Le sue vittorie, i suoi record del mondo, come quello che offre in questa occasione, riportano per lievità alle operette di Gilbert e Sullivan, assai amate in Gran Bretagna.

Bruxelles 1950 - Un corale per organo dell’olandese Jan Sweelinck, austero, per Fanny Blankers-Koen che dopo aver sgominato il campo a Londra, va vicina a ripetere la mano da poker, mancata per un piccolo errore in un cambio di staffetta.

E si potrebbe continuare, scomodando la Walkiria per tutte le Ddr che hanno occupato cielo e terra, il Trovatore di Giuseppe Verdi (“Sandro infelice, corro a salvarti” canta Panetta soccorrendo Lambruschini e lanciandolo verso la vittoria a Helsinki 1994), le nervose gimnopedie pianistiche di Eric Satie perfette per riesumare il ritmo tra gli ostacoli di Eddy Ottoz, il Lacrimosa dal Requiem di Mozart per ricordare tutti quelli che se ne sono andati, cominciando da Annarita Sidoti che proprio da un Europeo iniziò la sua lunga marcia. Sino all’implorazione beethoveniana alla Gioia, l’inno di continente.

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